10 dicembre 2019 – Trentino

Femminismo a Trento nelle voci e nelle immagini

Il progetto Femme. La proposta culturale della ricercatrice di Sociologia Elisa Bellè «Abbiamo lavorato oltre due anni per raccogliere il materiale e per analizzarlo»

TRENTO. Se Sociologia è riconosciuta come una delle università italiane che diedero l’ avvio al movimento studentesco ed alla stagione dei grandi cambiamenti della società in senso anti autoritario e libertario tra gli anni Sessanta e Settanta, ben poco si sa del ruolo che le donne, dentro e fuori l’ università, ebbero in quei movimenti. Eppure Trento fu in prima fila anche nelle fondamentali battaglie per la liberazione della donna, per il riconoscimento dei propri diritti e per la conquista della parità di genere. Ora un progetto condotto da Elisa Bellè, ricercatrice del Dipartimento di Sociologia e Ricerca sociale, contribuisce a colmare questa lacuna. S’ intitola “Nelle voci e nelle immagini: le radici del femminismo a Trento” ed è una ricerca innovativa che affianca fonti archivistiche ed orali, resa possibile grazie al finanziamento della Fondazione Caritro, svolta in collaborazione con la Fondazione museo storico del Trentino che ha messo a disposizione il Centro di documentazione Mauro Rostagno e con il contributo dei sindacati Cgil, Cisl e Uil. Il movimento femminista infatti, il cui nucleo originario a Trento fu costituito dal “Cerchio spezzato” (un gruppo di studio composto da quattro ragazze ed un ragazzo che si trovava in un appartamento di via Belenzani) ebbe un ruolo fondamentale non solo nelle battaglie civili sul divorzio e sull’ aborto, ma anche nelle fabbriche, per migliori condizioni di lavoro e di salario. Non a caso il primo documento a firma del collettivo “Cerchio spezzato”, del 1971, recitava “Non c’ è rivoluzione senza liberazione della donna” ed è il risultato dell’analisi critica al capitalismo maturata nei mesi dell’ occupazione e della cosiddetta Università critica, ma anche la presa di coscienza che i rapporti di classe si riflettevano in quelli tra uomo e donna. Basti ricordare l’ espressione di “angeli del ciclostile”, a dimostrazione del ruolo subalterno che le donne subivano nel movimento e la riproposizione degli schemi maschili anche nella liberazione sessuale, perché non starci significava non essere “vere rivoluzionarie”. Delle battaglie, dell’ autocoscienza, delle contraddizioni parlano le voci di donne raccolte da Elisa Bellè e da due sue collaboratrici, Anna e Giorgia che vanno a costituire insieme a documenti, articoli di giornale, foto, il sito “FemMe”, che sarà presentato oggi, 10 dicembre, alle ore 14.15 in Aula Kessler nel Palazzo di Sociologia, in via Verdi a Trento, nell’ambito della giornata di studi dedicata a “Femminismo e memoria”.
«Una ricerca spiega Elisa Bellè – che è durata due anni e mezzo ed ha affiancato l’analisi di materiale d’archivio, come il fondo Mauro Rostagno, l’Archivio delle donne custodito nella Biblioteca civica di Rovereto e l’ Archivio storico delle donne di Bolzano a quello delle testimonianze orali. Si è fatta emergere una storia poco conosciuta del movimento femminista trentino, che si è intrecciata con quella a livello nazionale, ma che ha avuto qui un suo carattere peculiare. A fianco dei dati storicizzati degli archivi, si sommano le voci dirette, la storia così come si è depositata nella memoria delle protagoniste. Grazie al passa parola, abbiamo mappato 15 collettivi che esistevano in Trentino, nel capoluogo e Rovereto, ed in altre realtà come le Giudicarie, la Valsugana, il Basso Sarca. Trenta le donne che si sono raccontate e dieci i protagonisti che hanno ricordato quella stagione che copre un arco di vent’ anni, tra il 1965 e il 1985».
Peccato, aggiungiamo noi, che non ci siano documenti audio, ma solo citazioni del racconto delle protagoniste.
Il sito realizzato da Giuseppe Aceto e Maddalena Vialli, dello studio Rebica, raccoglie questo materiale, ricostruendo la storia di Sociologia e del movimento studentesco, dei collettivi femministi, delle loro battaglie, con alcuni episodi di cronaca (come il clamoroso caso Zorzi, il ginecologo che praticava aborti clandestini prima dell’avvento della legge 194, nel 1978, arrestato ed accusato di aborto clandestino insieme a 268 donne).
«La Fondazione museo storico – sottolinea Elisa Bellè – si è avvalsa di questo materiale per realizzare dei laboratori didattici rivolti alle scuole superiori. Tengo molto alla restituzione del lavoro svolto, in modo che tutta la comunità possa usufruire di questo patrimonio e possa ripercorrere l’importante esperienza pubblica e privata».

 

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