20 marzo 2020 – Corriere del Trentino
«Alloggi protetti per i sanitari» Intanto gli operai protestano ancora
TRENTO Un alloggio sicuro per chi lavora in prima linea, a contatto con i contagiati, in cui poter rientrare tra un turno e l’altro, lontani da famiglie e affetti per proteggere la loro salute. L’appello è di quelli forti e lo lancia il segretario generale di Fenalt, Maurizio Valentinotti: «Dobbiamo trovare velocemente un modo per consentire a chi è impegnato tutti i giorni nei luoghi più a rischio di non rientrare a casa. Ce lo chiedono gli stessi lavoratori che sono iscritti con noi, per ridurre i rischi di contagio, lo stress e di conseguenza il lavoro in emergenza».
Le motivazioni che portano Fenalt e i lavoratori ad avanzare questa richiesta sono logiche, tanto che anche in altri territori colpiti pesantemente dal virus si sono mossi in questa direzione. Ora che sono state adottate misure stringenti per tutta la popolazione, a cui viene chiesto di stare in casa e ridurre i contatti, il rischio maggiore di propagazione è quello di chi lavora nelle strutture in prima linea. Involontariamente, infatti, questi lavoratori potrebbero trasformarsi in una fonte significativa di trasmissione del virus nel proprio ambito familiare. «Ancora peggio — spiega Valentinotti — se questi famigliari sono impegnati nel lavoro di emergenza, sia in strutture sanitarie che in strutture di protezione civile e forze di polizia». Nelle peggiori delle ipotesi potrebbero crearsi delle catene di contagio nei settori più indispensabili per far fronte all’emergenza. Per questo motivo Fenalt ha lanciato il proprio appello alla Provincia e all’Upipa: «Serve correre più del virus — conclude — e attrezzarci con tutte le strutture disponibili, non ultimi gli alberghi vuoti o chiusi».
E qualcosa si è già mosso, grazie alla Protezione civile. Durante la conferenza stampa di aggiornamento, il direttore dell’Apss Paolo Bordon ha annunciato che sono stati reperiti 7 appartamenti a Trento e un edificio a Rovereto nei pressi dell’Ospedale per ospitare chi avesse bisogno.
Ogni giorno che passa, diventa sempre più pressante la necessità di reperire dispositivi di protezione individuale, in particolare mascherine. Non solo per chi opera negli ospedali, ma anche per il personale delle Rsa, tra i luoghi più colpiti ed esposti al coronavirus. Upipa, ieri, ha ribadito tramite i propri canali l’urgente necessità che hanno gli operatori sociosanitari che operano nelle Rsa di reperire mascherine per continuare a lavorare in sicurezza. Vista la difficoltà a recuperare questi dpi sul mercato, Upipa chiede a chiunque ha dovuto sospendere la propria attività a causa dell’emergenza di donare tutte le mascherine chirurgiche o di tipo Fffp2 o Ffp3 che ha a disposizione. «Anche piccolissime quantità possono contribuire a una causa che riguarda tutti noi». Per farle avere a Upipa è sufficiente mettersi in contatto con l’ente, che organizzerà il ritiro.
Continua a rimanere aperto anche il fronte degli scioperi nelle fabbriche. Gli operai di Mariani e Sapes continuano a protestare ad oltranza. Da mercoledì si sono aggiunti i dipendenti di Famatec e da ieri quelli di Ebara. Entrambi chiedono l’attivazione della cassa integrazione per completare la messa in sicurezza degli impianti e la sanificazione degli stessi e i secondi aggiungono la riduzione al minimo della produzione per consentire di chiudere lo stabilimento in tempi rapidi. «Gli operai di Ebara sono preoccupati per la loro salute e per quella dei loro cari. Si sente forte la pressione per la diffusione del contagio — commenta Manuela Terragnolo, segretaria della Fiom del Trentino —. Ribadiamo che ad eccezione delle produzioni essenziali tutto il resto deve fermarsi. La priorità è la salute e il contenimento del contagio». «Come sindacato sollecitiamo un’assunzione di responsabilità nei confronti dei dipendenti della Famatec da parte del titolare», chiede Aura Caraba della Fiom Cgil.
Scarica il pdf: lavoro ART 200320 2
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