10 febbraio 2022 – l’Adige

Assegno unico, Provincia in tribunale

La Provincia sarà costretta a difendere un’altra volta in tribunale un proprio provvedimento nell’ambito delle politiche sociali. Ancora una volta, dovrà sostenere davanti ad un giudice la fondatezza giuridica dei dieci anni di residenza in Italia imposti come prerequisito per l’accesso ad un beneficio economico. Finora le è andata male.A portare Piazza Dante in giudizio per discriminazione è stato un cittadino pakistano, residente a Rovereto dal 2013 e padre di due figli, entrambi nati nella città della Quercia. L’uomo si è visto rifiutare dalle politiche sociali provinciali l’erogazione del bonus nascite e dell’assegno unico quota A (quello per le persone più indigenti). Questo perché l’uomo, nonostante la presenza da nove anni in città, dove si è costruito anche una famiglia, non possiede un permesso di soggiorno di lungo periodo e perché, per l’appunto, manca (anche se di poco) i dieci anni di presenza continuata in Italia. L’uomo, supportato dall’Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione (Asgi), ha fatto causa davanti al Tribunale del Lavoro di Rovereto. Sarà il giudice Michele Cuccaro a pronunciarsi, il prossimo 22 febbraio. Per parte sua la Provincia ha scelto di resistere al ricorso, attivando i suoi avvocati. Quello del roveretano di origine pakistana è il primo ricorso del genere in Trentino. Qualora la Provincia dovesse avere la peggio in aula, dovrà “disapplicare” la legge che disciplina l’accesso al beneficio, essendo l’Asgi un’associazione iscritta al registro del Unar (Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali) e quindi di fatto una sua vittoria in giudizio comporterebbe l’estensione automatica della sentenza a tutti i potenziali ricorrenti futuri.Praticamente la stessa cosa accaduta alla Provincia in un’altra causa, quella intentata nel giugno scorso davanti al giudice del lavoro di Trento da parte dell’Asgi e di un cittadino etiope. Anche in quel caso si contestava il limite dei dieci anni. All’epoca la Provincia perse sia in primo che i secondo grado, quando la sentenza della Corte d’appello ribadì il carattere discriminatorio del requisito dei 10 anni di residenza sul territorio nazionale, in quanto in contrasto con la direttiva dell’Unione europea 109 del 2003 che garantisce parità di trattamento ai titolari di permesso di lungo periodo. In quell’occasione il giudice di appello ritenne addirittura superfluo anche il rinvio del caso alla Corte costituzionale perché l’obbligo di garantire parità di trattamento discende direttamente dalle norme dell’Unione europea e prevale sulla legge provinciale. E male è andata alla giunta Fugatti anche il mese scorso, quando la Corte costituzionale ha bocciato la legge provinciale che chiedeva il requisito dei 10 anni di residenza per accedere al bonus bebè. In quel caso l’iter processuale fu accompagnato da una campagna mediatica contro il limite dei dieci anni promossa da Cgil, Cisl, Uil e le Acli. E i confederati sono in campo anche oggi a fianco del cittadino pakistano. «Riteniamo che fissare dei criteri di residenza per l’accesso al welfare si possa fare – argomenta il segretario provinciale della Cgil Andrea Grosselli – ma devono essere ragionevoli. Dopo che una famiglia risiede, lavora ed opera sul territorio per un po’ di anni (e l’Unione europea dice massimo cinque anni) non puoi negarle l’accesso ai benefici economici di cui godono gli altri residenti. Quindi il paletto dei dieci anni è palesemente discriminatorio, e tanto più odioso perché agente di una discriminazione che colpisce i bambini fin dalla culla. In Trentino l’integrazione è un fattore di crescita economica e di socialità – sottolinea Grosselli -. Con queste norme ingiuste si rischia di minare alla base i presupposti di una società moderna. Con Cisl e Uil abbiamo scelto di adire alle vie legali in quanto la Provincia non ci ha mai ascoltato, precludendo ogni altra strada di collaborazione».

 

Scarica il pdf: ADIGE assegno ART 100222