Corriere del Trentino – 07 ottobre 2022

Cassa integrazione e orari flessibili, come la crisi ha cambiato la fabbrica

TRENTO Sembra essere tornati alla scorsa primavera. Ma oggi, al contrario di qualche mese fa, si viene da un periodo di forti rincari. E si prospetta un autunno difficile, difficilissimo se si pensa che in alcuni settori si comincia già a registrare un primo calo degli ordinativi. Qualcuno si era mosso prima, ora sono sempre di più le aziende trentine costrette a fare ricorso alla cassa integrazione (Cig) oppure a inventarsi delle contromisure: c’è chi ha chiesto ai propri dipendenti di lavorare solo quattro giorni alla settimana, chi utilizza le ferie arretrate e chi decide di produrre anche nei giorni festivi per pagare meno. Questo il quadro delineato dai sindacati dell’industria. C’è un dato, poi, che preoccupa: a luglio sono state autorizzate 238.374 ore di cassa, oltre il doppio di quelle registrate nei sei mesi precedenti.
Che non sia solo una questione di caro energia lo si vede dal caso delle Cartiere del Garda (Gruppo Lecta), che nei giorni scorsi ha chiesto la cassa integrazione per 398 dipendenti (su circa 470) impiegati nello stabilimento di Riva. I motivi? «Carenza temporanea di commesse». Ieri la consultazione sindacale dopo la comunicazione. «L’azienda ci ha detto che i loro clienti, di fronte ai scenari di crisi energetica profilati nei mesi precedenti, hanno riempito i magazzini e quindi ora stanno consumando quello che avevano immagazzinato — spiega Claudia Loro, segretaria generale della Slc Cgil (categoria, tra gli altri settori, dei grafici) — Dovrebbe essere, quindi, una situazione congiunturale». Per il momento, al fine di allineare la produzione al livello attuale degli ordini provenienti dal mercato, sarà previsto un fermo produttivo di una settimana, da lunedì prossimo a domenica, in particolare per il reparto della carta grafica (non per quella adesiva). Poi l’attività ripartirà. Tuttavia, a scopo cautelativo, sono state richieste tredici settimane di cassa integrazione. «L’altra azienda che sta usando la cassa e le ferie arretrate è la Cartiera di Villa Lagarina», riferisce Loro. Nessuno stop produttivo, ma cassa integrazione per 13 settimane anche per i 446 dipendenti di Aquafil, colosso del nylon. Stesso motivo: calo degli ordini. Ma anche i rincari energetici non facilitano la situazione. I lavoratori, quindi, dovranno rimanere a casa a turno. «Il tessile è infatti uno dei settori più colpiti — dice Ivana Dal Forno, segretaria generale di Fecma Cisl — Si è lavorato tanto fino ad agosto, poi a settembre c’è stato un rallentamento ed oggi si sta vedendo che il mercato non assorbe più, con una riduzione importante di ordini. Qualche azienda, come la Domo, Texbond e Fucine, aveva già chiesto la cassa. Chi non la chiede cerca di apportare delle modifiche all’orario di lavoro per risparmiare: ci sono aziende che ci chiedono di compattare l’orario su quattro giorni e di stare a casa gli altri. Si sta pensando un po’ di tutto. Qualcuno ha riacceso le caldaie a gasolio. Ma tutti ci dicono che, se non si arriva presto ad una soluzione, i rischi si fanno seri».
I campanelli d’allarme ci sono tutti. Ieri durante la presentazione del rapporto sull’occupazione (si veda pagina 7) è stato sottolineato come nel mese di luglio le ore di cassa integrazione straordinaria autorizzate siano schizzate a quasi 240.000 nel ramo industria, mentre nei sei mesi precedenti se ne erano registrate complessivamente 94.064. E la situazione, infatti, appare complicata anche nel comparto dell’industria metalmeccanica. «In questo momento abbiamo percepiamo una grande difficoltà da parte delle imprese, non solo per i rincari energetici, ma anche perché si comincia a parlare di una mancanza di commesse: imprese che dicevano che prima facevano mille pezzi, oggi ne fanno 200 — spiega Willy Moser della Uilm — Il rischio delocalizzazione di cui hanno parlato gli imprenditori mi sembra più una minaccia che un atto reale. Abbiamo lavoratori che fanno un lavoro di grande qualità e credo sia interesse delle imprese rimanere in Trentino, anche per la possibilità di relazionarsi con le fondazioni di ricerca e le università. La politica però deve intervenire subito: le aziende più strutturate resistono, ma quelle piccole potrebbero mollare».
Ad influire sul calo delle commesse anche il cammino della Germania verso la recessione, visto lo stretto rapporto dell’economia trentina con quella tedesca (la Germania è il primo Paese destinatario dell’export trentino per un valore di 2,5 miliardi). «Il rallentamento del motore Germania è uno dei fattori principali — ribadisce Franco Weber, segretario generale della Filctem Cgil — Le aziende, inoltre, non possono continuare a rincarare il costo dei prodotti adeguandolo ai costi energetici, altrimenti rischiano di andare fuori mercato. Il problema non è così semplice: ci sono una serie di fattori che sinceramente vanno al di là del mero aspetto energia».

 

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