Il T – 26 luglio 2023

Migrazioni, edilizia laboratorio di cittadinanza

La storia dell’umanità, lo ricorda l’antropologo americano Jared Diamond nel suo saggio «Armi, acciaio e malattie», è caratterizzata dalla migrazione di massa di individui da una parte all’altra del globo e dallo scambio di merci e tecnologie. I popoli che, per ragioni spesso prettamente geografiche, non hanno potuto trarre vantaggio dalla circolazione delle conoscenze hanno pagato a caro prezzo il loro isolamento, conoscendo declino e dominazione straniera. Millenni di storia umana possono dimostrare come i processi migratori, attraverso l’incontro di culture e competenze, abbiano contribuito in maniera evidente al progresso dell’umanità. Ogni popolo, in epoche differenti, ha fornito infatti il proprio contributo nel definire il patrimonio culturale e tecnologico dell’uomo contemporaneo. Succede invece che, nell’ultimo decennio, la critica alla cosiddetta «globalizzazione» dei mercati e delle persone, vista come un fattore di appiattimento delle differenze culturali, abbia causato per reazione l’avvento di forze politiche e di ideologie che, richiamandosi in maniera nemmeno troppo velata, alle teorie del «razzismo differenzialista», hanno finito per imporsi nel dibattito pubblico con una nuova narrazione dei processi migratori, che partendo da slogan semplici «aiutiamoli a casa loro!» – è arrivata in un pericoloso crescendo comunicativo a parlare di «sostituzione etnica» e di difesa dell’etnia dominante senza incontrare troppe resistenze in un’opinione pubblica assopita, abituata a convivere con le troppe verità usa e getta dei social media.
Questo tipo di retorica si è dimostrata vincente nello spaventare l’elettorato, favorendo l’equazione – tutta da dimostrare – rispetto alla quale ad un aumento dei tassi di immigrazione, farebbe seguito un impoverimento generale dell’«etnia dominante». Di fatto, in Trentino ed in Italia, così come in Polonia, Ungheria e Spagna – solo per citare alcuni esempile elezioni si vincono risvegliando le paure irrazionali dell’elettorato. Gli slogan parlano da soli: «Prima gli italiani», «Prima i trentini». Ma gli ultimi, al di là dei valori cristiani ai quali spesso molte di quelle forze politiche si richiamano, dovrebbero evidentemente continuare a rimane sempre e soltanto ultimi e – per giunta – preferibilmente «a casa loro».
Purtroppo, le istituzioni europee, per cercare di limitare la crescita elettorale dell’estrema destra, hanno reagito favorendo accordi bilaterali con Paesi tutt’altro che democratici della sponda meridionale del Mediterraneo oppure con la stessa Turchia, volti a ridurre il flusso di migranti in entrata. Ma come ci insegna l’esempio polacco, può esistere un sentimento antisemita anche in assenza di ebrei. E così, non è affatto detto che un minore numero di ingressi porterà automaticamente ad un ridimensionamento del consenso verso partiti apertamente xenofobi. Sono invece proprio questi accordi, ad essere indirettamente causa dei naufragi dei migranti in mare e dei morti di calore e sete nel deserto della Tunisia. L’Italia – nonostante l’alternarsi al governo di forze progressiste e conservatrici – non ha mai smesso di mantenere un approccio improvvisato, allarmistico ed emergenziale nella gestione del fenomeno migratorio.
Un paradigma che andrebbe necessariamente rovesciato, anche e soprattutto a livello di politiche europee. Esistono infatti in Europa – e nel nostro Paese interi settori economici che stanno vivendo una strutturale carenza di manodopera. Mancano lavoratori nelle fabbriche, in agricoltura, nei cantieri e nell’edilizia «allargata» al comparto dei manufatti cementizi, del legno, del cemento. Prendiamo atto del fatto che, nel nostro Paese, alcune lavorazioni per varie ragioni – non sempre solo di carattere salariale – non sono più appetibili per le fasce più giovani della forza lavoro. È un dato di fatto, ad esempio, come nelle scuole professionali il percorso «edile» venga scelto da pochissimi studenti, 15 in tutto nella sola Provincia di Trento. Di fatto, al di fuori della realtà dei cosiddetti «grandi cantieri», quello edile rimane un settore con lavorazioni tradizionali, toccato solo marginalmente dall’innovazione tecnologica e dall’automazione. Ed è un comparto che si regge grazie all’apporto determinante della manodopera di origine straniera. Nel 2022 i lavoratori non italiani iscritti in Cassa edile a Trento sono stati il 42,47% del totale, ben 5.463 operai – dato in crescita del 18,89% rispetto all’anno precedente – con provenienza da ben 78 Paesi diversi. Perché richiamare ora questi dati? Per ricordare che senza bisogno di erigere barriere fisiche e culturali – in Europa, nel nostro Paese e anche in Trentino, mai come in questo momento sarebbero tante le opportunità di lavoro – e quindi di integrazione – per chi arriva in cerca di una vita migliore.
Lo scorso anno il Ministero dell’Interno, Ance, Feneal Uil, Filca Cisl e Fillea Cgil hanno firmato un protocollo d’intesa volto a favorire l’inserimento lavorativo di richiedenti e titolari di protezione internazionale e altri cittadini stranieri in condizioni di vulnerabilità, al quale per altro ancora pochi territori hanno dato applicazione. Si tratta di un primo passo importante per una gestione diversa di un fenomeno – quello migratorio – che non potrà mai essere cancellato per legge e governato con i respingimenti. Questo vale particolarmente per l’edilizia, un comparto che, come si è visto, è già – anche grazie all’azione sindacale – un laboratorio di cittadinanza ed inclusione. La risposta alla retorica antiimmigrazione, non può quindi che passare per l’adozione di misure concrete, volte a favorire l’inserimento lavorativo, auspicando al contempo l’avvento di un nuovo umanesimo, come quello che nel 1798 arrivo in Francia alla stesura della «Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino» e alla presa di coscienza che portò nei decenni successivi all’abolizione della schiavitù.

Matteo Salvetti – Segretario Generale Feneal Uil Trentino Alto Adige Südtirol

 

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