Il T – 13 dicembre 2023

«Dimissioni, le aziende intervengano». Pichetti (Uiltucs): «Servono scelte sulla flessibilità degli orari»

Per prima cosa, non scaricare la responsabilità sul settore pubblico, quando i casi principali di dimissioni di donne in maternità toccano il settore privato. Anche le soluzioni per ridurre al minimo i casi di abbandono del lavoro delle donne devono partire dalle aziende e devono riguardare in primis la flessibilità degli orari. A dirlo è il segretario regionale della Uiltucs Stefano Pichetti, che sottolinea la necessità di trovare soluzioni concrete in collaborazione con le aziende per risolvere la piaga delle dimissioni di lavoratrici donne in maternità. I dati riferiti dall’Ufficio statistico di Agenzia del Lavoro e pubblicati su «Il T» parlano di 508 dimissioni di donne in maternità convalidate nel 2022. Un dato in crescita. Indagini successive sulle 504 dimissioni del 2021 hanno messo poi in luce che il 55% delle dimissionarie lascia l’impiego per incompatibilità tra vita e lavoro. Questo perché sulle donne grava ancora oggi la quota maggiore della cura genitoriale. «In una società che si proclama impegnata per la parità di genere – commenta Uiltucs – è con profonda preoccupazione che assistiamo alle dimissioni sempre più frequenti di donne durante la maternità. Questo fenomeno rappresenta una grave violazione del diritto delle donne a un equo trattamento sul luogo di lavoro, mettendo in discussione l’effettiva coniugazione tra vita e lavoro». Il sindacato segue i lavoratori, ma soprattutto le tante lavoratrici del settore teriziario. Grande distribuzione, commercio e turismo raggruppano la maggior parte delle lavoratrici madri dimissionarie e anche la quota maggiore di contratti part-time. Per Uiltucs è una responsabilità del settore privato. «Le imprese devono assumersi la propria responsabilità nel garantire un ambiente di lavoro inclusivo, che sostenga le donne durante la maternità invece di costringerle alle dimissioni. La parità di genere non può essere solo un obiettivo dichiarato; deve tradursi in azioni concrete che proteggano i diritti delle donne, compresa la tutela della maternità». Pichetti parla di «politiche aziendali che promuovano un equo trattamento e che offrano soluzioni pratiche per consentire alle donne di mantenere il proprio impiego durante la maternità». Strumenti che consentano alle donne di conciliare responsabilità familiari e carriere professionali. «È inaccettabile – aggiunge il sindacato – scaricare sul pubblico la responsabilità sociale delle aziende mediante interventi fiscali come l’Irpef». Proprio ieri su questo giornale Andrea Grosselli, segretario generale di Cgil del Trentino, chiedeva alla giunta un maggior intervento a favore delle famiglie, indicizzando l’Irpef all’inflazione per mantenere estesa la platea di beneficiari dell’assegno unico provinciale, che peraltro la giunta vorrebbe riformare. Per Uiltucs, l’urgenza è «affrontare la questione dell’orario di lavoro, specialmente in settori dove la flessibilità positiva è spesso limitata in favore di una flessibilità negativa sempre a favore della produttività»; ma anche «promuovere una condivisione effettiva dei carichi familiari fra uomini e donne». «Siamo pronti a collaborare con le aziende per sviluppare politiche aziendali che rispettino la parità di genere e che sostengano le lavoratrici durante i momenti cruciali della loro vita. È tempo di tradurre le parole in azioni e di creare un ambiente lavorativo che rispecchi veramente i valori di equità e giustizia», conclude Pichetti. Soluzioni «condivise con il sindacato». «La responsabilità sociale delle aziende non può essere solo una enunciazione di principi; deve trovare riscontro fattivo nel loro agire».

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