Decreto Dignità e somministrazione. Le buone intenzioni ci sono, ma quanta confusione!

Dal prossimo primo novembre entrano in vigore, in Trentino come in tutta Italia, le nuove regole introdotte dal Decreto Dignità. La novità principale è la sostanziale equiparazione fra il contratto a tempo determinato diretto e quello in somministrazione.

Bisogna premettere che, almeno nelle intenzioni, il Decreto è apprezzabile e migliorativo perché tenta di disciplinare una materia a dir poco caliginosa e ambigua come quella della somministrazione conferendole, in effetti, maggiore dignità e favorendo (se non altro in teoria) la stabilizzazione dei lavoratori. Un esempio su tutti è il limite dei 36 mesi dopo i quali un contratto a tempo determinato deve trasformarsi in un tempo indeterminato. L’attuale normativa (post Jobs Act) è molto controversa al riguardo ma, di fatto, finora non è mai stato applicato alla somministrazione. Dal primo novembre, grazie al Decreto Dignità, il limite scende a 24 mesi e, proprio per la sostanziale equiparazione fra il contratto a tempo determinato diretto e quello in somministrazione, questo dovrebbe valere – finalmente – anche per chi lavora con le agenzie.

Restando sullo stesso esempio, però, si possono già evidenziare le problematiche e le omissioni del Decreto. Nella somministrazione, infatti, essendoci un contratto di lavoro tra il somministrato (il lavoratore) e il somministratore (l’agenzia), ma non con l’utilizzatore (l’azienda presso cui si svolge la prestazione lavorativa), chi dovrà assumere a tempo indeterminato il lavoratore una volta raggiunto il limite dei 24 mesi? Formalmente dovrà essere l’agenzia, e questo si configura come un bel ginepraio. L’agenzia dovrà assumere il lavoratore al raggiungimento del limite anche se lo manda in missione presso aziende diverse a svolgere lavori tra loro magari diversissimi? Che succede se, trascorsi i 24 mesi, il lavoratore continua a lavorare nella stessa azienda, ma con un’altra agenzia? I dubbi non finiscono qui. Esistendo una contrattazione nazionale relativa alla somministrazione che, in attesa di un prossimo rinnovo, parla ancora di un limite di 36 mesi, si derogherà ad essa tale limite? I mesi lavorabili resteranno dunque 36 per somministrati? Sembra di sì, così com’è pressoché sicuro che le proroghe di un medesimo contratto, sempre per via della deroga alla contrattazione collettiva, per i somministrati rimarranno 6 in barba alle 4 previste dal Decreto Dignità.

Questo è solo un assaggio dell’enorme confusione portata dal decreto, senza considerare poi che la prescrizione di limiti alla somministrazione, soprattutto se così ambigui, rischia da un lato di aumentare il turn over (soprattutto) per i lavori poco qualificati, e dall’altro di far configurare il ricorso (inevitabile) alla contrattazione nazionale come peggiorativo per i lavoratori. Senza nulla togliere agli aspetti spiccatamente positivi come l’aumento a 180 giorni del termine per l’impugnazione stragiudiziale e l’onere aggiuntivo (in verità piuttosto scarso) per il contributo dello 0,50% in occasione di ogni rinnovo, va detto che sulla somministrazione è stato fatto un gran pasticcio.

Cosa è andato storto?

Purtroppo il governo, seppur intenzionato ad agire in favore dei lavoratori, ha sbagliato tre volte.

Prima di tutto ha legiferato male prevedendo un inutile e controverso periodo di transizione (che dura, appunto, fino al 31 ottobre) durante il quale aziende, sindacati e ispettorati del lavoro si sono trovati a gestire un maelstrom di situazioni confuse. Meglio era applicare le regole del decreto a tutti i nuovi contratti e ai rinnovi dal giorno della sua approvazione (14 luglio 2018).

In secondo luogo ha promesso una circolare esplicativa che non è mai arrivata. Probabilmente è consapevole che l’eventuale circolare, approfondendo alcuni aspetti, finirebbe per creare ancora più controversie.

Il terzo errore, quello capitale, è stato quello di aggirare i sindacati e la contrattazione collettiva (salvo poi sbatterci il naso adesso) evitando così il confronto con chi la somministrazione la conosce bene e avrebbe potuto mettere in luce gli aspetti più delicati che adesso rischiano di rivelarsi veri e propri bastoni fra le ruote.

In generale, come UILTemp del Trentino, riteniamo che per evitare gli abusi nel ricorso al lavoro a tempo determinato (così come a tutto il lavoro flessibile, somministrazione inclusa) più che un disincentivo in termini di tempo (24 o 36 mesi che siano) sarebbe utile un incremento del costo a favore del lavoratore, in altre parole un aumento del salario, oltre che della contribuzione. Premesso questo, il nostro auspicio è che, seppur tardivamente, il governo abbia l’umiltà di confrontarsi approfonditamente con le Parti Sociali. Se si tratta di tutelare i diritti dei lavoratori, queste sapranno fornire il massimo sostegno a prescindere dal colore politico di chi legifera.

 

Trento, 29 ottobre, 2018

 

Il Segretario Generale UILTemp Del Trentino

Lorenzo Sighel

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