04 dicembre 2018 – Trentino
Cipputi esiste ancora
Dal lavoro alla vita, il nuovo «operaismo»
Alan Tancredi (Uil) e Matteo Mangiaracina (Femca Cisl): ecco che cosa i sindacati andranno a dire a Fugatti
C ipputi esiste ancora? Il mitico personaggio uscito dalla matita di Altan negli anni Settanta, l’operaio con l’immancabile basco e la chiave inglese in mano, non è forse l’emblema di un “operaismo” ormai passato, anticaglia della storia recente? Sì e no. I numeri, va da sé, non son più quelli. Ma le fabbriche ci sono ancora. E l’odore dei reparti di produzione, il rumore delle macchine, le linee di lavoro, i turni, le fatiche. C’è tutto. Anche in Trentino. E’ solo molto più defilato rispetto al dibattito politico, ai rumori di fondo della nostra società, rispetto ai social e ai salotti tv che qualche decennio fa. Ma c’è. Di questa “invisibilità” sono portatori, nel senso che è il loro pane quotidiano, due sindacalisti come Alan Tancredi, segretario confederale della Uil Trentino, e Matteo Mangiaracina, di Femca Cisl: “Per quanto ci riguarda, è ovvio che gli operai non solo ci sono ancora, ma rappresentano una bella fetta di lavoratori trentini. Saranno anche forse ignorati da molti, ma possiamo garantire che le fabbriche, gli operai e tutto il resto non sono residuati degli anni Settanta”. Qualche cifra aiuta: a spanne (un censimento preciso è complesso, date le specializzazioni e i vari settori di lavoro) gli operai-operai quelli insomma con le tute blu, i Cipputi in Trentino sono fra i 30 e i 40mila. Più o meno un decimo dell’intera popolazione. Un piccolo esercito, ancora.
Poi tra gli invisibili, o gli ignorati che dir si voglia, ci sono le fasce più deboli: i lavoratori disabili, chi ha malattie debilitanti o gravi, le neo mamme o i neo papà. Fino a qualche tempo fa, al netto dei contratti di categoria, la loro “tutela” (e qui le virgolette ci stanno tutte) era lasciata alla discrezionalità delle singole aziende. Oggi siamo sul crinale di questa fase storica: alle spalle il padrone che poteva esercitare una funzione paternalistica, davanti a noi una gestione mista pubblico-privata di queste problematiche. Con in mezzo il sindacato, appunto.
“Molti ci vedono come gli antagonisti, quelli che si scontrano a muso duro con i datori di lavoro” spiegano Tancredi e Mangiaracina. “Invece uno dei nostri ruoli è anche quello di informare le aziende sull’esistenza e sull’utilizzo di strumenti che vengono messi a disposizione dall’ente pubblico”. Uno di questi, a proposito di lavoratori deboli o più esposti, è il “Documento degli interventi di politica del lavoro 2015-2018” messo a punto dalla Provincia Autonoma di Trento, che ha fruttato in questi tre anni alcuni significativi accordi aziendali, ultimo dei quali ma il più importante per numeri e per qualità quello con Zobele Spa. Anche qui, i numeri: nel 2017 sono stati 24 i lavoratori trentini a usufruire degli incentivi previsti da quel Documento provinciale, per un totale di 16 aziende; nel 2018 sono stati 35 per 27 aziende. Ma il solo accordo stipulato con Zobele interessa ben 18 lavoratori in un colpo solo: con in più, l’estensione dei benefici economici non solo a chi è prossimo alla pensione, ma anche appunto a chi è malato, disabile o ha avuto figli.
Insomma, se fino a qualche tempo fa la “questione operaia” era limitata, si fa per dire, alle rivendicazioni classiche per un aumento di stipendio o per le condizioni di lavoro all’interno delle fabbriche, sempre più oggi si fa strada la necessità di intervenire anche, e soprattutto, fuori dalle mura aziendali. Quello che si definisce, in parole povere, la conciliazione vita/lavoro. Con una particolare attenzione a quei lavoratori che hanno vincoli rigidi: vai a spiegare a un turnista, per dire, che può fare meno ore per curarsi o per stare coi figli. Un turnista non è un impiegato. O fa il suo lavoro o salta.
Come è accolto tutto questo dai datori di lavoro? C’è chi non sa nulla, e viene informato dai sindacati. C’è chi nicchia e chi risponde positivamente. Anche perché alla fin fine questi accordi sono molto utili anche all’azienda. Per due motivi. Primo, per gli sgravi dell’Irap (uno “staffettista” all’anno fa calare questo gettito di un punto percentuale; assunzioni a tempo indeterminato per più del 5% della forza lavoro complessiva fa risparmiare il 100% dell’Irap). Secondo, perché grazie al contributo provinciale l’azienda può assumere temporaneamente forza lavoro nuova.
Su tutto questo, i sindacati chiederanno lumi alla nuova giunta provinciale.“Essenzialmente su due punti” spiegano Tancredi e Mangiaracina. “Se la Provincia ha intenzione di mantenere le azioni di sostegno fin qui avviate. E se ci sono le coperture finanziarie”. La questione della copertura finanziaria è dirimente, avvertono i due sindacalisti. “Se fino ad oggi gli accordi sulle staffette generazionali hanno coinvolto un numero limitati di lavoratori, dall’intesa siglata con Zobele in poi i numeri sono destinati ad aumentare. Servono dunque più soldi pubblici”.
Non proprio bruscolini, insomma. Anche perché Fugatti e soci hanno da rendere conto a chi li ha votati: e cioè proprio quegli operai, e quelle famiglie, che negli ultimi anni si sono sentiti dimenticati dalla politica locale e nazionale.
Scarica il pdf: Cipputi ART 041218
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