13 novembre 2020 – Corriere del Trentino

Covid, il prezzo più alto lo pagano le lavoratrici: persi oltre 10mila posti

Trento A pagare il prezzo più alto sono ancora una volta le donne. È quanto emerge dai numeri dell’Agenzia del Lavoro di Trento, che fotografano una realtà amara: sono le donne ad avere perso il maggior numero di posti di lavoro e ad aver visto ridotto il tasso di assunzione a causa della pandemia di coronavirus.

L’emergenza del lavoro al femminile è tanto grave che in molto parti d’Europa si inizia a parlare di «shecession», crasi formata dalle parole «she» e «recession», a indicare per l’appunto una recessione economica che ha un impatto negativo prevalentemente sulle donne. «Il lavoro che è stato più toccato dalla pandemia è quello alle dipendenze di tipo stagionale e a termine — ricorda Riccardo Salomone, presidente dell’Agenzia del Lavoro — I rapporti di lavoro a tempo indeterminato sono salvaguardati dal blocco dei licenziamenti mentre la componente di lavoro che si attiva in risposta a fabbisogni stagionali o di picco di attività produttiva è quello che fin qui ha maggiormente risentito delle difficoltà». Nei primi sei mesi del 2020 le donne sono state più colpite dal calo della domanda di lavoro delle imprese. La flessione delle assunzioni femminili è stata pari a 10.739 unità di contro alle 8.419 minori assunzioni per i maschi. A ciò si aggiunge che i decreti anti-covid riguardano in misura prevalente i settori nei quali le donne sono sovra rappresentante, come l’assistenza all’infanzia, il commercio e il turismo, ma anche attività rivolte prevalentemente se non esclusivamente a un pubblico femminile: dalle parrucchiere alle estetiste.

Anche il numero di persone occupate alle dipendenze nel primo semestre 2020 è calato rispetto agli stessi mesi del 2019. «Il calo ha riguardato sia i maschi che le femmine ma il numero più alto si è reso evidente per la componente femminile a partire dal mese di giugno, in coerenza con le difficoltà in termini di ripartenza della stagione estiva ancora molto incerta e orfana delle opportunità lavorative del turismo primaverile dei laghi» commenta Salomone. Dopo la flessione di marzo e aprile per gli uomini è iniziato l’atteso recupero, ma ciò non è accaduto per le donne. Al 30 giugno 2020 la perdita di posizioni lavorative tra le donne ammonta al 5,3%, mentre tra i maschi si attesta al 4,7%. Diversi punti percentuali di differenza che raccontano di una disparità tra generi ancora troppo accentuata a svantaggio delle lavoratrici.

Infine, ma non ultimo, il problema che riguarda la tipologia dei contratti. Ancora oggi il peso della gestione della casa pesa in massima parte sulle spalle dei membri femminili della famiglia, e in Trentino l’82,6% del lavoro a tempo parziale è svolto dalle donne (dati 2019) e la percentuale delle donne che lavorano a tempo parziale è pari al 40,6% (solo 7,0% la corrispondente percentuale tra i maschi). «Più part-time e meno giornate lavorate determinano conseguenze importanti sulle retribuzioni di maschi e femmine e sui futuri importi pensionistici — ricorda Salomone — Purtroppo il problema delle pensioni è già evidente oggi, con le donne che hanno in media pensioni decisamente più basse degli uomini. Una realtà figlia di molteplici fattori, ma che ha come consegna che le donne sono, a tutte le età, a maggior rischio di povertà rispetto agli uomini».

Per invertire i dati e scongiurare il pericolo di una crisi economica «di genere» è necessario cambiare l’intero sistema di welfare, ma anche i bonus possono servire a dare un primo input positivo. «In questi giorni la Giunta provinciale sta lavorando a un documento riguardante una misura di incentivazione per le assunzioni femminili cumulabile con i bonus statali. Duemila euro in più per chi assume donne e giovani under 25 e ulteriori duemila euro per quelle aziende che, contestualmente al contratto, si impegnino ad avviare una riorganizzazione interna in termini di conciliazione vita-lavoro — elenca Salomone — Se venisse approvato sarebbe una buona cosa, ma gli incentivi hanno il fiato corto. Bisogna pensare a medio e lungo termine cambiando il sistema di partecipazione al mondo del lavoro».

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