01 marzo 2020 – Corriere del Trentino

Fare lezione a distanza non vuol dire innovare

Leggiamo sui giornali che un istituto scolastico si sarebbe attrezzato per le lezioni a distanza. Tutto ciò sarebbe accaduto a seguito della ben nota sospensione delle lezioni decretata dalla Provincia di Trento. In verità, ci risulta che a distanza sia rimasta la scuola: quella vera.
Prima di avanzare rilievi di ordine sindacale e, più in generale, di rispetto della normativa vigente, vogliamo dare spazio ad alcune osservazioni di natura pedagogica — docenti siamo — agli studenti e alle famiglie. Poniamoci alcune domande: come si costruisce la conoscenza, come si raggiunge la competenza, qual è il modello di scuola della qualità?
Le scienze della formazione ci dicono che la conoscenza si costruisce insieme: si parla di «co-costruzione della conoscenza». «Discutendo si impara», «la Scuola si è rotta», «la scuola che verrà», «l’apprendimento cooperativo» sono alcune delle tantissime sollecitazioni scientifiche, di vera ricerca pedagogica, che ci ricordano come insegnamento e apprendimento siano reciprocamente vincolati, in una relazione che trova nella socializzazione tra pari e tra docente/discente il motore che spinge verso la qualità. Il motore che offre a ogni allievo la via per giungere ai piani alti della scuola della competenza: quelli abitati dalla ricerca e dalla scoperta. Quelli dove le singole discipline si fondono nell’interdisciplinarità verso la trans- disciplinarità.
Un consiglio, quindi, a ragazzi e famiglie: attenzione a non confondere la tecnologia con la tecnica, l’innovazione con il mero utilizzo di qualche strumento digitale. Altro che «scuola 2.0»: se la nostra scuola si basasse sulle lezioni a distanza saremmo alla «scuola -1». Pensiamoci un attimo: la scuola delle lezioni trasmesse in video davanti a un computer è la scuola della cattedra, è la scuola della lezione frontale, è la scuola che riempie le teste. Non le forma.
Cari ragazzi, cari genitori: la scuola dell’innovazione non passa dalla novità degli strumenti che si utilizzano, ma dalla capacità di raggiungere le competenze per la vita, prima fra tutte quella dell’imparare a imparare. Gli strumenti servono, eccome, se utilizzati bene. E in effetti, in molte scuole, senza tanto clamore né ricerca di onori della ribalta, dirigenti e docenti hanno utilizzato il loro tempo a tenere contatti con i loro alunni, a ricercare soluzioni per garantire possibilità di ripasso e studio di quanto già proposto. «Nelle nostre scuole abbiamo creato le condizioni perché i docenti si potessero incontrare spontaneamente, che potessero lavorare assieme, cercando soluzioni per garantire continuità alla didattica». Queste sono parole che mi ha scritto un nostro dirigente scolastico.
Molti docenti, seguendo le indicazioni dei dirigenti, hanno pensato di utilizzare le due giornate cercando di frequentare «a distanza» il corso obbligatorio sulla privacy: purtroppo sono incappati nel malfunzionamento della piattaforma digitale. Iprase è in difficoltà a gestire un certo numero di accessi. Anche questo accade.
Un ultimo rilievo lo vogliamo indirizzare a quei dirigenti, di dipartimento o scolastici, che non vogliono sentir parlare di comunità scolastica, di condivisione, di collegialità. Dirigenti che ammettono di essersi spinti a trasgredire le norme perché «sono sempre più lente». Un bell’esempio da offrire a ragazzi e genitori.
Per nostra parte, coltiviamo l’ottocentesca convinzione che la vera scuola è quella che ha rispetto delle norme e rispetto dei contratti di lavoro. Il segretario generale nazionale della Uil scuola, Pino Turi, ha ricordato che «il coronavirus non sospende la democrazia. La gestione del personale si esercita nell’ambito delle leggi e nel rispetto dei contratti collettivi di lavoro che determinano i diritti e le regole».

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