Giornata internazionale della donna. Flessibilità e conciliazione insufficienti frenano ancora l’occupazione femminile. Sindacati: l’80% dei contratti part time riguarda lavoratrici. Maggiore precarietà e overeducation alimentano il gap con gli uomini
Il Trentino ha fatto importanti passi in avanti in termini di occupazione femminile. Con una percentuale che si attesta al 62% oggi il nostro territorio ha un tasso di occupazione tra le donne al di sopra della media nazionale, che non supera il 50%. Il Trentino fa peggio della provincia di Bolzano, ma comunque è sopra la media del nordest. Non mancano, però, le criticità. Le donne restano ancora un segmento debole del mercato del lavoro. “Ci sono sicuramente margini per aumentare la partecipazione delle donne al mercato del lavoro, ma gli scogli maggiori riguardano oggi la qualità dell’occupazione femminile e le politiche di conciliazione – fanno notare Maurizio Zabbeni, Lorenzo Pomini e Walter Largher che seguono il mercato del lavoro per Cgil Cisl Uil -. E’ indubbio che un tasso più alto di occupazione femminile avrebbe un impatto positivo su Pil e produttività. Non è pensabile, però, aumentare la partecipazione delle donne se non si rimuovono alcuni ostacoli. A cominciare dal part time volontario e involontario”.
Sul totale dei contratti part time attivi l’80% è rappresentato da lavoratrici, una percentuale che resta costante nel tempo. Sul totale delle occupate circa il 40 ha un orario ridotto. Per gli uomini la soglia si riduce al 7%.
Il problema maggiore è rappresentato dal part time involontario: oggi la percentuale di donne che in provincia ha un impiego part time, perché non ne ha trovato uno a tempo pieno, è del 17,7%. Il gap con gli uomini è di 14,1 punti. Il che vuol dire redditi più bassi, minori possibilità di carriera e pensioni più basse.
Sul part time involontario influisce anche le difficoltà di conciliazione. “Estendere e rendere più flessibili i servizi conciliativi per i genitori di figli piccoli, ma anche per chi è impegnato nella cura di familiari anziani e non autosufficienti renderebbe le donne meno deboli sul mercato del lavoro”. Oltre al fatto che politiche per la conciliazione e a sostegno dell’occupazione femminile avrebbero un impatto positivo sul tasso di natalità. “Il tema è offrire ai genitori condizioni di lavoro non precarie e flessibili. Il ricorso al part time molto spesso cela la richiesta di una flessibilità che il mercato del lavoro non è ancora in grado di dare, nonostante l’accelerazione imposta dal Covid. Un tema, invece, che dovrebbe essere trattato senza pregiudizi nei tavoli contrattuali”.
Il part time incide anche sulle retribuzioni. Oggi quelle femminili, anche a parità di ruolo, sono più basse, perché le donne hanno spesso occupazioni a tempo determinato o parziale e la presenza femminile è più diffusa in segmenti poveri del mercato del lavoro. Il tema dei contratti precari è un altro freno alla qualità dell’occupazione femminile: i contratti a tempo determinato sono circa il 22% del totale. Il 56% di questi riguarda le donne, in costante aumento.
“Il problema è che queste differenze non rispecchiano i profili formativi delle donne – proseguono i sindacalisti -. In Trentino come nel resto d’Italia c’è un grave problema di overeducation: le donne laureate sono più degli uomini, ma le loro competenze sono meno riconosciute sul mercato del lavoro che già, nella nostra provincia, non valorizza in generale i laureati e i giovani. Diciamo che nel caso delle donne si intrecciano più fattori, dalla precarietà all’overeducation, alla scarsa conciliazione aumentando la posizione di svantaggio”.
Da qui la richiesta a costruire incentivi per l’assunzione e la stabilizzazione delle donne. “Il tema è stato ampiamente discusso durante gli Stati generali del Lavoro, ma oggi non ci sono misure concrete né sul piano del rafforzamento delle politiche conciliative, a cui sono stati preferiti i bonus una tantum, né del rafforzamento degli sgravi Icef per il lavoro femminile o degli incentivi”, concludono.
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