19 ottobre 2016 – Corriere del Trentino

Giovani e carriera, politiche attive da rivedere

Ascensore sociale bloccato: Cgil, Cisl e Uil chiedono una svolta. Jobs act, altri dati sull’aumento dei licenziamenti

Il rapporto di Fbk Irvapp presentato lunedì e riportato ieri sul Corriere del Trentino lo dice chiaramente, in parte parafrasando i fratelli Coen: questo non è un paese per giovani.

Neanche per giovani trentini, costretti a saltare da un impiego all’altro come veri e propri equilibristi del lavoro, senza prospettive di crescita né economica né professionale, con il 70% di loro che rischia di trascorrere la carriera sempre nella stessa posizione.

Immobile, dunque.

Ma a ribadire quanto gli ostacoli siano alti per le nuove generazioni, ci ha pensato anche l’Osservatorio per il precariato dell’Inps che ha messo nero su bianco l’effetto (fallimentare) del Jobs Act: negli ultimi otto mesi del 2016, ad aumentare non sono state le assunzioni ma i licenziamenti. Ovvero: meno 351.000 assunzioni e più 304.437 licenziamenti su contratti a tempo indeterminato rispetto al periodo gennaio-agosto dell’anno precedente.

Non solo: salgono a 46.255 (+ 28%) i licenziamenti disciplinari, cioè i licenziamenti per giusta causa e giustificato motivo, e aumentano del 35,9% rispetto allo stesso periodo del 2015, oltrepassando i 96 milioni, i voucher, nuova frontiera del precariato.

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Il Jobs Act, perciò, non basta, e forse non si è mai creduto potesse bastare: «Il sindacato confederale ha sempre detto che l’aumento di assunzioni del 2015 era frutto della decontribuzione alle imprese e non della nuova normativa. E adesso ne abbiamo le dimostrazioni. C’è da chiedersi cosa succederà tra qualche anno, con gli incentivi a zero: tutti gli assunti saranno licenziati?», si domanda Walter Alotti, segretario Uil Trentino. 

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Infine, i nuovi mestieri: anche questi per certi versi causa ed effetto di una precarietà forzata. «Le realtà eccessivamente robotizzate, se guadagnano in efficienza, fanno perdere in termini di intensità umana e le professioni della sharing economy — valuta Alotti — se gestite in grandi realtà e dunque normate, possono essere un bene, ma nelle piccole startup rischiano di produrre un’ulteriore precarizzazione con l’aggiunta che spesso, in questi ambiti, mancano occasioni di socializzazione. Ed è la socialità tra i lavoratori la chiave per negoziare migliori condizioni di lavoro».

Scarica il pdf: giovani-e-carriera-politiche-attive-da-rivedere-art-191016