Corriere del Trentino, Il T – 28 aprile 2024
Il sindaco di Cavalese apre «Disponibili al confronto» I sindacati: «Vanno chiusi»
Quello dei punti nascita è certamente un tema divisivo. Soprattutto dopo aver appreso, con l’analisi condotta dalla Sezione di Controllo della Corte dei Conti di Trento, come partorire negli ospedali di Cavalese e Cles costi quasi quattro volte in più rispetto a Trento e Rovereto. «Siamo convinti dell’importanza dei punti nascita presenti anche nelle vallate trentine ma, allo stesso tempo, crediamo nella scienza — spiega il sindaco di Cavalese, Sergio Finato —. Per questa ragione, qualora gli esperti ci dicessero che con l’attuale numero di nascite, partorire non sarebbe più sicuro, dovremmo aprire un nuovo dibattito. Il tema centrale, infatti, secondo noi, non è quello economico, bensì quello degli standard di sicurezza che devono essere assolutamente rispettati. Non possiamo pensare di tenere aperti i punti nascita, diminuendo però le risorse destinate e quindi la qualità dei servizi erogati. La nostra non è una posizione pregiudiziale e quindi siamo comunque disponibili per confrontarci con l’assessorato, senza volerci incaponire su alcuna scelta finale».
I numeri, relativi ai parti del 2022, mostrano come a Cavalese ce ne siano stati 132, mentre, a Cles 242. Ben lontani, quindi, dalla soglia dei 500 annui che gli esperti indicano come limite minimo necessario per l’apertura di un punto nascita. E i primi mesi del 2024 non fanno registrare un cambio di rotta con poco più di 40 nati nell’ospedale fiemmese. «Siamo da sempre contrari al fatto di permettere di partorire negli ospedali periferici — analizza il segretario generale della Cgil del Trentino, Andrea Grosselli —. Non perché non riteniamo importanti i servizi offerti nelle vallate, ma perché crediamo centrale il tema della tutela delle donne e del nascituro. E, con i numeri che registriamo nei punti periferici, gli esperti ci dicono che è difficile rispettare i livelli di qualità e sicurezza necessari. A testimoniarlo sono anche le mamme che abitano in quelle zone che, molto spesso, per partorire preferiscono spostarsi a Trento o Rovereto. La provincia di Bolzano già da tempo ha chiuso la maggior parte dei punti nascita periferici, senza che nessuno si sia lamentato. Dovremmo fare altrettanto». Il segretario della Cgil Trentino, Grosselli prosegue poi nel ragionamento: «Le risorse ottenute dalla chiusura dei centri potrebbero essere destinate ai percorsi nascita. In questo modo ci sarebbero maggiori fondi per tutte quelle attività che possono essere compiute a domicilio. Se il parto può essere gestito anche nei centri più grandi, per il prima e per il dopo è importante poter contare su un’assistenza professionale e radicata in zona». Se a Trento un parto costa mediamente 5.200 euro e a Rovereto 4.823 euro, a Cavalese, la cifra è pari circa a 20.298 euro, mentre, a Cles circa 17.621 euro. «Il problema principale non è quello economico. Si tratta di una cifra ridotta rispetto alla spesa totale della sanità trentina — argomenta il segretario della Cisl Funzione pubblica, Giuseppe Pallanch —. Quella relativa ai punti nascita è un’analisi complicata: ci si scontra con gli interessi e le aspettative delle periferie e quindi delle popolazioni che vi abitano. Il nostro pensiero è che sia importante aiutarli, garantendo loro i servizi necessari. Nonostante, per farlo, magari, debbano essere investite maggiori risorse rispetto ad altri territori». Sul tema è intervenuta anche la Uil che attraverso le parole del segretario generale del Trentino Walter Alotti e del segretario generale della Uil Fpl Sanità del Trentino, Giuseppe Varagone, hanno ricordato come «i numeri di nascite, registrati negli ospedali periferici, continuano a diminuire. Pertanto è importante garantire la sicurezza delle partorienti e dei professionisti sanitari che vi ci lavorano. Anche se la situazione delle liste d’attesa nei diversi ambiti pare migliorata, di certo per esperienza di tanti cittadini e cittadine trentine il ritorno progressivo alla normalità è ancora lontano».
Il presidente dell’Ordine dei medici, Marco Ioppi, non ha mai nascosto il suo pensiero sul futuro dei punti nascita: «Ostacolano le eccellenze degli altri reparti», afferma. E chiarisce: «Basti pensare a ortopedia e chirurgia. Nelle giornate in cui ci sono i parti e quindi la sala operatoria deve libera per questi non si possono effettuare interventi. E lo dico senza polemica. Abbiamo bisogno di risorse e medici per abbattere le liste d’attesa, non si può avere del personale che non fa nulla e pazienti costretti ad andare fuori provincia per operarsi?». Per Ioppi bisogna pensare «all’efficienza dell’ospedale, ma anche alla sicurezza dei pazienti e degli operatori. Abbiamo ginecologici, ostetriche che lavorano in una condizioni di grande disagio». Ioppi è preoccupato per il personale «che è sottoutilizzato e vive in una condizione di forte frustrazione e va a squalificarsi perché perde di competenza a causa della carenza di attività, questo aspetto va considerato». Per l’Ordine bisogna pensare ai servizi sussidiari e valorizzare gli ospedali con «reparti di eccellenza come è stato fatto ad Arco con la PMA o a Tione con l’ortopedia, in questo modo diventano attrattivi».
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