l’Adige – 08 settembre 2023
Integrativo territoriale per i salari bassi. Contro il rischio declino dell’economia trentina la ricetta di Cgil Cisl e Uil su lavoro e welfare
Contratto integrativo territoriale che tuteli gli stipendi, con un sostegno di 150 euro al mese per i lavoratori che aspettano il rinnovo contrattuale e un altrettanto pesante sostegno per coloro che, invece, non possono contare su un accordo di secondo livello aziendale. E ancora sostegni alle imprese solo se loro e i loro appaltatori rispettano i contratti collettivi più rappresentativi. E poi penalizzazioni per chi non ha rinnovato i contratti. Ma anche formazione e bilanciamento delle competenze dei lavoratori e incentivo alla ricerca per le imprese. In vista di un autunno che si preannuncia se non caldo per lo meno difficile in tre giorni cinque imprese hanno annunciato il ricorso alla cassa integrazione per carenza di ordinativi Cgil Cisl e Uil chiedono al sistema Trentino di fare uno scarto in avanti. Le segreterie provinciali mercoledì si sono riunite e davanti alla situazione economica del Trentino hanno definito una piattaforma, che dovrebbe essere la base da cui partire per discutere sia con la Provincia, sia con le parti datoriali. Oggi la piattaforma che per molti aspetti è coerente a quella presentata in Alto Adige sarà presentata nel dettaglio, poi verrà portata nelle assemblee territoriali. L’obiettivo è anche quello di interessare l’imminente campagna elettorale perché questi siano i temi al centro del dibattito pubblico.
Il nodo salari. I salari bassi non possono essere solo un dettaglio di cui si prende atto allargando le braccia. Perché salari bassi e che questo siano quelli trentini è ormai assodato da ogni statistica vuol dire bassa domanda. E in un economia come quella trentina, in cui solo una minoranza di imprese è votata all’export, deprimere la domanda è più o meno come mettere un sassolino in un ingranaggio. Non finisce mai bene. Ecco perché il sostegno del potere d’acquisto degli stipendi deve diventare un problema di sistema, non solo delle famiglie, alle prese con i prezzi cresciuti per via dell’inflazione. Il tema, sul fronte salari, lo abbiamo evidenziato tante volte: all’inflazione si aggiunge un male storico, la difficoltà a rinnovare i contratti. Ci sono categorie per cui l’attesa sembra infinita: su tutti la cooperazione sociale, che vince la maglia nera: il contratto è scaduto nel 2007. Secondo i sindacati è ora di fare qualche cosa. E non basta immaginare la riduzione del cuneo fiscale, anche perché la dinamica degli stipendi non dipende da quello: in Italia nel 2021 era al 46,5%, in Germania al 48,1%, in Austria al 47,8%, in Francia al 47% in Belgio al 52,6%. Però in quei paesi negli ultimi 30 anni il potere d’acquisto è cresciuto 33% in Germania e Francia, 25% in Austria in Italia no, in Trentino nemmeno:
+ 0,3% in 30 anni. Un po’ pochino. Da qui la proposta alle associazioni datoriali. Rinnovi certi alla scadenza contrattuale, ma con una garanzia: 150 euro al mese, da garantire in caso di vacanza contrattuale, o 150 euro mensili da garantire ai lavoratori non coperti da accordo integrativo. A ciò si aggiungano misure di stabilizzazione e superamento dei tirocini, passando dall’apprendistato. Mentre alla Provincia si chiede è di indicizzare al costo della vita i benefici del welfare provinciale.
L’economia arranca. Le richieste che i sindacati mettono sul tavolo dipendono anche dal quadro generale. Che non è un bel quadro. Dal 2007 al 2017 in ogni settore non è aumentata (in alcuni casi è calata) la produttività. Un dato che va a braccetto con un altro: gli investimenti delle imprese in innovazione, che sia di prodotto o di processo, sono stati sensibilmente più bassi rispetto a territori simili, sotto la media del Nordest. Decisamente più bassi in ogni settore, rispetto all’Alto Adige: fa eccezione solo il mondo della manifattura, dove in Trentino gli investimenti sono il 5% più alti rispetto a Bolzano. Il tutto in un contesto in cui il Pil è cresciuto pochissimo sul medio periodo e dal 2008 al 2020 si è avviato un preoccupante fase di deindustrializzazione: dal 2008 al 2020 sono calate dl 18% le imprese del settore secondario, con un calo di addetti di 7 mila unità.
E i lavoratori se ne vanno. In Trentino il paradosso è servito: siamo ad un livello alto di competenze digitali, abbiamo una formazione ai vertici del panorama italiano, ma le imprese
faticano ad attrarre personale con elevate competenze. Perché sempre più spesso i ragazzi, dopo una formazione qui, se ne vanno altrove, non necessariamente all’estero, dove trovano migliori opportunità. Anche per questo, secondo i sindacati, serve trovare un modo per far diventare il territorio attrattivo. E l’attrattività passa da due fattori: l’elevato livello di innovazione delle imprese e la soddisfazione economica degli addetti.
Il ruolo della Provincia. I sindacati alla provincia chiederanno innanzi tutto il potenziamento di Agenzia del lavoro e Uopsal, dal punto di vista degli organici. E poi si torna a chiedere (non è la prima volta) di superare la logica degli incentivi a pioggia, per sostenere al contrario, le imprese che investono in innovazione e in formazione continua dei dipendenti. Inoltre alla Provincia si chiederà di superare la disciplina dei tirocini, tenendo l’apprendistato come strumento d’accesso al mondo del lavoro.
Infine, il dato sui migranti: in una provincia in pieno inverno demografico, si chiede di agevolare politiche di integrazione e inserimento nel mondo del lavoro degli immigrati che approdano in Trentino.
«Autonomia, recuperare competenze va bene. Ma col coraggio di esercitarle».
Il dibattito. Grosselli (Cgil), Bezzi (Cisl) e Alotti (Uil) e le ipotesi sul tavolo di revisione del secondo Statuto.
«La prospettiva di una revisione in tempi rapidi del secondo Statuto per recuperare appieno le competenze erose negli ultimi vent’anni e per introdurre il meccanismo dell’intesa è una notizia positiva, che va in una direzione del tutto condivisibile per valorizzare compiutamente la nostra Autonomia speciale. Non si compia, però, l’errore di ritenere che questo sia un punto di arrivo». Questa l’opinione dei segretari provinciali Andrea Grosselli (Cgil), Michele Bezzi (Cisl) e Walter Alotti (Uil), che entrano nel dibattito sul futuro dell’autonomia: «Definita la cornice, poi bisogna agire, esercitare con lungimiranza e coraggio il potere di cui disponiamo. Chi governa nè chiamato a non limitarsi alla semplice amministrazione dell’esistente, con uno sguardo sempre rivolto alle scelte nazionali, non per coerenza quanto per paura di innovare. In Trentino l’Autonomia è stata a lungo esercizio di sperimentazione in più campi, dalle politiche economiche e di sviluppo al welfare, fino al lavoro. Spinta che si è persa nell’ultimo quinquennio. Per questo ricordiamo che esercitare l’Autonomia richiede responsabilità e lungimiranza per costruire politiche rispondenti alle esigenze del nostro territorio, non semplici duplicazioni di scelte adottate a Roma».
«Per fare questo concludono serve mettere a fattor comune le migliori esperienze e competenze di cui il Trentino dispone, a cominciare dalla sua università e dai centri di ricerca. E bisogna tornare ad un governo “condiviso dell’autonomia”, dunque il coinvolgimento nelle scelte di tutti i soggetti rappresentativi».
«Assegno dopo 10 anni, un’ingiustizia».
I sindacati e il ricorso in Cassazione sui benefici agli stranieri
«Il vincolo dei dieci anni per accedere all’assegno unico provinciale è discriminatorio e ingiusto. Lo abbiamo detto nel momento in cui è stato istituito dalla giunta Fugatti e lo ribadiamo adesso: non è con la demagogia che si governa il fenomeno dell’immigrazione. Non è con la miopia che si costruiscono risposte per una comunità, come quella trentina, che senza l’apporto degli immigrati sarebbe in profonda difficoltà per assenza di manodopera, in crisi per il calo di nascite e l’invecchiamento della popolazione». Lo affermano Cgil Cisl Uil commentando la notizia che la sentenza contro i dieci anni di residenza per l’assegno unico verrà portata in Cassazione. «La scelta di escludere le famiglie stranieri dalle misure di sostegno è contro la normativa europea e va contro anche le decisioni assunte a livello nazionale dal governo Meloni sull’assegno unico universale – fanno notare i segretari provinciali Andrea Grosselli, Michele Bezzi e Walter Alotti Al contrario vanno messe in campo misure di accoglienza ed integrazione. E questo non solo perché è eticamente giusto, almeno dal nostro punto di vista, ma anche perché è conveniente per il Trentino che ha bisogno di lavoratori, che ha bisogno di famiglie che facciano figli e di persone che assistano i nostri anziani. Sarebbe opportuno che il presidente Fugatti facesse un bagno di realtà».
A dimostrarlo, osservano, sono i dati. Nei primi cinque mesi del 2023 i bambini nati in Trentino sono il 17% in meno rispetto al 2019, ultimo anno prima della pandemia. Nello stesso periodo il numero di cittadini stranieri che ha preso residenza in Trentino è cresciuto del 22%. Inoltre dal 2019 al 2023 la popolazione trentina è calata passando da 543mila persone a 542mila. «Questi dati certificano non solo l’impatto nullo dei bonus Fugatti sulla natalità, ma anche l’amara constatazione che senza l’apporto dei cittadini stranieri i trentini sparirebbero. Quindi è tempo che responsabilità e razionalità prendano il posto dei proclami demagogici che piacciono sicuramente ad una parte importante di elettorato». In sintesi si chiede di investire sulle misure di accoglienza ed integrazione perché «questo rende il nostro territorio più attrattivo e più sicuro per tutti».
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