27 gennaio 2021 – Corriere del Trentino

La carica dei driver

Ritmi insostenibili e poche tutele: i problemi di chi consegna pacchi Duecento aziende con gli Artigiani, ma tenerne traccia è «impossibile»

Contratti precari, un numero di ore previste di molto inferiore a quelle effettivamente trascorse al volante e retribuite ancora meno, pause brevi o inesistenti. È il lavoro dei driver, come vengono definiti nel contratto nazionale, i corrieri che consegnano pacchi a domicilio. Una categoria nuova di lavoratori nata con la rivoluzione Amazon e resa ancora più indispensabile dal Covid-19. Un mestiere in cui servono solo la patente e un furgone, se si vuole tentare di mettersi in proprio. Un mondo fluido che ha incrementato la sua importanza durante l’emergenza Covid. «Il principale problema ad inizio emergenza Covid-19 per chi lavora come corriere espresso — spiega Stefano Montani, segretario provinciale della Filt Cgil — è stato, in molti casi, il ritardo nella fornitura di dpi, ma soprattutto la mancata sanificazioni dei furgoni utilizzati da autisti diversi nell’arco della settimana. Problema, questo, particolarmente accentuato in Atoa, società che opera per conto di Amazon». L’e-commerce, non si è mai fermato, nonostante a livello sindacale fosse stato chiesto di consegnare «solo beni ritenuti indispensabili — ricorda Montani —. E invece il volume delle merci lavorate ha registrato un aumento».
In Trentino è praticamente impossibile fare una stima del numero di persone e aziende attive nel settore. La categoria autotrasporti dell’Associazione artigiani trentino ha circa 200 aziende che fanno trasporto merci inferiori alle sei tonnellate sulle oltre 400 totali associate. Il numero è quasi simbolico perché «le chiusure e le aperture sono all’ordine del giorno e non tutte le aziende si associano a noi», spiega Claudio Comini, vicepresidente della categoria. Si stima infatti che le aziende di autotrasporti in Trentino siano circa un migliaio. «Se il lavoratore è autonomo — racconta Giovanni Giorlando, segretario della sezione trentina della Cisl Fit — non esistono tutele perché tutto sta nella sua capacità di prendere un appalto adeguato». Il tipo di pagamento può essere diverso: un fisso per ogni consegna oppure a seconda del numero di fermate, ovviamente senza la garanzia di aver ancora un lavoro il giorno dopo. Considerando la bassa specificità del lavoro il coltello dalla parte del manico lo hanno le aziende. «Per raggiungere la paga di un corriere con contratto, il lavoratore autonomo deve lavorare tre o quattro ore in più ogni giorno», evidenzia Giorlando. Il lavoro del driver è instabile per sua natura. È impossibile, infatti, costringere le aziende a stabilizzare un gran numero di lavoratori perché «è un mestiere dal flusso difficilmente prevedibile,— continua Giorlando — con dei picchi in alcuni periodi dell’anno».
Ai corrieri espresso si applica l’orario contrattuale di 39 ore settimanali, estendibili a 44 previo accordo aziendale sottoscritto con le organizzazioni sindacali firmatarie del contratto nazionale. Un allungamento dovuto al fatto che i corrieri lavorano in regime di discontinuità (ad esempio durante il carico dei furgoni) e per questo c’è un riconoscimento forfettizzato delle ore eccedenti le 39 contrattuali e di un’indennità giornaliera minima per trasferta di 10 euro al giorno. «Spesso nel settore operano singoli imprenditori o ditte con un numero minimo di lavoratori che, pur di vedersi assegnato l’appalto, operano senza il rispetto del contratto nazionale — commenta Montani —. Queste approfittano anche del fatto che molti lavoratori per questioni economiche, spesso stranieri, sono costretti a lavorare, anche inconsapevolmente, in condizioni fuori dalle regole». «Il problema principale — aggiunge il vicepresidente Comini — è quello degli appalti al ribasso. Anche perché per avere quei prezzi si attenta alla sicurezza dei lavoratori, con manutenzioni e sostituzioni dei mezzi che non vengono fatte regolarmente».
Dietro alle grosse sigle di consegna conosciute a livello nazionale esiste un sottobosco di piccoli «padroncini» che possiedono pochi mezzi e hanno un grosso turnover di lavoratori. «Questo è ancora un mondo molto oscuro. Le aziende sono incontrollabili — racconta Nicola Petrolli, segretario della Uil trasporti trentina —, attirano i lavoratori con condizioni di lavoro sopportabili per i primi giorni, incrementando giorno per giorno il numero di consegne fino a rendere i ritmi insostenibili». Un altro problema, per il segretario di Uil trasporti, è «la fiducia che tanti lavoratori stranieri ripongono nei loro connazionali, finendo in situazioni di sfruttamento da cui non riescono ad uscire». Petrolli parla anche di casi in cui i lavoratori lamentano pressioni e minacce in caso di lamentele: «A volte ci vengono a spiegare come non possono ribellarsi a condizioni di lavoro che diventano opprimenti perché hanno paura per le famiglie rimaste a casa».
«Il settore degli autotrasporti sta vivendo una rivoluzione epocale», spiega il vicepresidente della categoria autotrasporti Comini. Che lancia un appello ai lavoratori maltrattati: «Fatevi aiutare, una volta varcata la nostra porta vi difenderemo come associa ti garantendo l’anonimato».

 

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