Il T – 31 marzo 2024
La scuola tra ansie ed errori che fanno crescere
Molto si è scritto in questo ultimo periodo sull’ansia da scuola e sul disagio dei nostri ragazzi nel vivere il tempo scolastico: un disagio che spesso purtroppo si traduce in dispersione scolastica. Per questa via la Scuola è obbligata ad abdicare al primo dei suoi compiti: essere per ciascuno, oltreché essere per tutti e di tutti.
L’ansia da scuola è strettamente correlata all’ansia da prestazione ovvero il timore che ogni prova, ogni verifica in classe possa attestare un fallimento. E i nostri ragazzi si dimostrano sempre più incapaci ad affrontare una sconfitta: debbono essere vincenti sempre. Guai comunicare ai genitori che i propri figli hanno delle lacune, hanno delle carenze formative: viviamo in un tempo che sembra non offrire la possibilità di sbagliare, di commettere errori. Anche se, a pensarci bene, l’errore è a volte necessario per raggiungere gli obiettivi che ci siamo prefissati. L’ansia fa parte dell’essere umano, del percorso di vita di ognuno; gli adulti devono accompagnare i ragazzi a gestire tale emozione, tenendo fin da subito in conto che sarà possibile sbagliare e, quindi, riprovare.
Pensiamoci un attimo: fin da piccolissimi ai bambini è chiesto di sfidare sé stessi. Chi è chiamato a muovere i primi passi deve fare una cosa più grande di lui: eppure, superando prove – accettando errori, il bambino riesce a tirarsi in piedi, riesce ad essere autonomo.
Poi arriva la famiglia e, magari, ci si mette pure il sistema scolastico: così l’errore diventa sconfitta irrimediabile, molto spesso imputato agli altri e così si perde quel potenziale di crescita insito nell’errore stesso. I genitori, in primis, sono chiamati a riflettere sulla necessità che i loro figliuoli siano «attrezzati» emotivamente
ad affrontare le sconfitte: la possibilità che una prova abbia esiti negativi. La vita è fatta di prove. E non solo nel mondo della scuola.
A pensare bene, questa è la lezione morale che ci consegna Enea. Malgrado una pesante sconfitta (Troia è distrutta), parte per ricostruire un futuro (nascerà Roma): si può essere sconfitti, senza essere perdenti. Per questa via l’ansia da scuola diventa occasione per non fermarsi, per proseguire nel percorso di crescita personale. Un percorso che sicuramente incontrerà al suo interno anche la fatica di superare una valutazione negativa su conoscenze disciplinari, ma che avrà nel raggiungimento delle competenze per la vita il suo obiettivo primo.
Gli insegnanti, invece, sono chiamati a far riflettere sul valore formativo di ogni valutazione. La prova in classe o il cosiddetto tema non sono altro che momenti propedeutici, funzionali all’acquisizione dei saperi. La prova non valuta il ragazzo, non si valuta il suo modo di essere: si valuta semplicemente la sua conoscenza rispetto a determinati argomenti. Un voto negativo si deve trasformare nella capacità dell’allievo di saper focalizzare i punti sui quali deve investire, deve lavorare, deve ancora crescere. Ragionevolezza delle prove, buon senso ovvero il senso buono delle esercitazioni che si andranno a proporre, focalizzazione e centratura degli obiettivi che lo studio personale dovrà raggiungere: elementi di riflessione che andranno a chiudere la proposta formativa di ogni insegnante.
Su questo terreno la nota dell’assessore Gerosa può essere letta come occasione buona per riflettere sul senso dei «compiti a casa», delle prove che vengono avanzate ai ragazzi, della necessità di prendersi il tempo di perdere tempo. Alla circolare lasciamo il merito di aver posto l’attenzione su un tema che è bene sia costantemente al centro delle riflessioni dei consigli di classe e della professione docente, al di là delle contrapposte pressioni effettuate dai genitori che vogliono i compiti a casa e di quelli che non li vogliono: è necessario riflettere sul senso che le esercitazioni e le consegne di studio debbono avere per ogni singolo allievo, in relazione al grado di scuola ed al percorso di studi.
È necessario ricordare, infatti, come l’assegnazione dei compiti a casa vada collocata all’interno dell’azione didattica compiuta dal docente, contestualizzata in un percorso individuato e costruito sui «bisogni« di quei determinati allievi, che hanno dato corpo alla strutturazione di un percorso pensato per loro, scandito dai momenti didattici in aula, verificato e riadattato qualora ne emerga la necessità. Lo studio, i compiti si innestano su questo percorso.
Sia chiaro, però, questa è, dev’essere e deve rimanere una scelta dell’insegnante. A volte tale scelta è frutto anche di una negoziazione, con gli studenti che sollevano la questione, che contestano. Nell’economia di un contesto educativo, di relazione educativa ben si inserisce in un percorso di crescita, per lo studente e per il docente.
Su questo terreno l’intervento della vicepresidente e assessore all’Istruzione si raffigura come l’ennesima incursione politica su terreni che non le sono propri. Seppur in forma di invito, la nota – la seconda – dell’Assessore si raffigura come un intervento – utilizzando il gergo calcistico – a gamba tesa che disconosce il ruolo e la professionalità degli insegnanti. È un messaggio pericoloso che mina l’azione educativa, che sminuisce coloro che dovrebbero avere un ruolo di autorevole riferimento. Forse anche questo contribuisce a creare malessere tra gli studenti e a ledere il rapporto di fiducia scuola-famiglia.
Pietro Di Fiore – Segretario Provinciale Uil Scuola
Scarica il pdf: IL T scuola 310324
No Comments