22 agosto 2016 – Trentino
Gli ultimi dati diffusi dall’osservatorio sul lavoro parlano di disoccupati in calo (-4,4%) rispetto ai primi mesi del 2015, ma anche meno contratti per le donne e per i giovani sotto i 29 anni. Ma il dato più preoccupante, è il crollo dei contratti a tempo indeterminato: a maggio di quest’anno rispetto all’anno scorso, sono diminuiti del 27,8%. Per i sindacati, quest’ultimo preoccupante dato, non è una sorpresa. «Finiti gli sgravi fiscali del governo per le assunzioni – commentano i rappresentanti di Cgil, Cisl e Uil Grosselli, Pomini e Alotti – era prevedibile che le imprese non rinnovassero più i contratti. Lo dicevamo da tempo che la ricetta di Renzi non avrebbe funzionato». PerAndrea Grosselli, della segreteria provinciale della Cgil «bisogna creare le condizioni per la ripresa economica, perché i provvedimenti del governo hanno solo drogato i dati ed ora sono ripresi con forza i contratti a tempo determinato». Per quanto riguarda il calo del 2,8% dell’occupazione femminile, Grosselli si dice preoccupato, perché sono dati in controtendenza rispetto agli anni precedenti. «Fino al 2007 – spiega il rappresentante della Cgil – il Trentino era allineato all’obiettivo europeo del 60 per cento dell’occupazione femminile.
Ora, se quest’ultima cala, bisogna monitorare e guardare con molta attenzione il fenomeno per prevedere i correttivi. Si sa che quando l’economia va male le donne sono doppiamente penalizzate. E fino a quando il governo non farà una seria politica di investimenti nel manifatturiero e nei servizi e non ridurrà del cuneo fiscale, ridando slancio all’economia, temo che l’inversione di tendenza sarà dura. Stesso discorso vale per i giovani, categoria debole, anche se la ripresa dell’apprendistato può essere positiva, perché il contratto di lavoro fino ai 3 anni è più stabile di quello a tutele crescenti». Boccia il Jobs Act anche Lorenzo Pomini, segretario della Cisl: «Renzi ha voluto far credere che fosse la panacea di tutti i mali, ma non è stato abolendo l’articolo 18 che gli imprenditori hanno assunto di più. I dati occupazionali positivi del 2015 sono da ricondurre alla Finanziaria che aveva introdotto sgravi per chi assumeva di 8.00 euro per tre anni, mentre quest’anno gli incentivi sono stati calati a 3.200 euro su due anni e per l’anno prossimo sembra ci sarà un calo ulteriore, con 1.600 euro per un anno. Il Jobs Act ha fatto il resto, con la possibilità di licenziare. Inoltre l’aumento dell’età dei lavoratori con le ultime riforme fa sì che i giovani non vengano assunti, con il risultato che i più meritevoli vanno all’estero. Sulle donne, i dati vanno analizzati, perché la tendenza era di una loro maggior occupazione. Vuol dire c’è una ripresa in settori con occupazione tradizionalmente maschile? Se cala il commercio ed aumenta il manifatturiero, può essere questa la chiave di lettura». Che fare, allora? Pomini avanza alcune proposte: «Un’idea potrebbe essere migliorare i servizi. Le imprese che gravitano sulle zone artigianali potrebbero organizzarsi per creare degli asili nido, così da permettere più occupazione delle donne. Un’altra soluzione sarebbe pensare ad un ciclo produttivo più leggero nell’industria, per renderla più appetibile anche alle donne». Anche Walter Alotti, segretario della Uil, non risparmia critiche al governo:«Da tempo diciamo che se non si aumentano i salari e le pensioni, non si fa ripartire i consumi e l’economia. Gli incentivi sono durati un anno per le assunzioni e gli imprenditori, se hanno possibilità di licenziare pagando un indennizzo, lo fanno. Si devono favorire gli investimenti nel nostro Paese e combattere le regole europee che impediscono interventi statali in questo senso. Solo con infrastrutture e servizi migliori, si possono attirare investimenti esteri».
Scarica il pdf: Occupazione_il_Jobs_Act_non_ha_funzionato ART 22(8)16
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