29 marzo 2021 – l’Adige

Oggi tornano in classe 45mila bambini. Un coro di reazioni positive. Sindacati: «Ma i docenti non sono tutelati»

Ci siamo. Dopo due settimane di didattica a distanza, oggi tornano in classe 45 mila bambini tra nidi, materne ed elementari. Un piccolo esercito di bambini, che riavranno il contatto con i compagni, pur mediato dalla mascherina e dal distanziamento. Una notizia accolta con favore da quasi tutti: ad un passo dall’euforia le famiglie, alcune delle quali sabato sono scese in piazza rivendicando il diritto della didattica in presenza. Soddisfatto l’assessore provinciale all’istruzione Mirko Bisesti, positivo il coordinatore dei dirigenti scolastici Paolo Pendenza. Voce fuori dal coro i sindacati, che evidenziano le criticità di una situazione in cui «non si può far tornare in aula i docenti, senza essersi preoccupati di garantire loro il vaccino». Quanto alla politica, la giunta provinciale incassa evidentemente un bonus in termini di consenso e guarda oltre Pasqua, sperando di rilanciare con le superiori: «La riapertura del primo ciclo è una scelta coerente con la politica messa in campo da inizio estate, con l’aumento delle risorse sul comparto scuola, con lo stanziamento dei 45 milioni in più, di cui 30 per personale aggiuntivo, che ha permesso di avere 800 persone aggiuntive e quindi centinaia di classi in più -rivendica l’assessore provinciale Mirko Bisesti -Non sono solo tre giorni, prima delle vacanze di Pasqua. In queste due settimane i bambini non sono stati in lockdown, e hanno avuto comunque la didattica a distanza, ma la scuola in presenza, soprattutto per i più piccoli, è un’altra cosa. Per questo abbiamo forzato e abbiamo dato questo segnale». Tra l’altro le parole del presidente del consiglio Mario Draghi, che in parlamento ha chiarito la volontà, pandemia permettendo, di aprire le scuole anche in zona rossa, viene letta come una promozione ex post delle scelte trentine: «Fa piacere che il governo sia sulla stessa lunghezza d’onda. Speriamo che ci permetta di riaprire, anche le medie e le superiori al 50%. Noi siamo pronti». Pronti ma senza la volontà di ulteriori strappi: «Ad oggi la linea Draghi è attenta alla scuola. E poi i dati sembrano migliorare, e ci dovrebbero portare alla zona arancione». Si confida di aprire, insomma, senza fratture.
Per ora ci si concentra sulla fascia d’età 0 10. E quella oggi è in classe, senza grandi patemi dal punto di vista organizzativo: «Le scuole sono pronte -evidenzia Paolo Pendenza, coordinatore dei dirigenti scolastici e c’è grande voglia di tornare. Sappiamo che sono solo tre giorni prima di Pasqua, ma questa apertura può essere letta come un segnale positivo e fa piacere. Anche perché il ritorno solamente della fascia d’età 0-10 in classe è sicuramente compatibile con la situazione generale e con le esigenze di sicurezza. Poi 3 giorni possono sembrare nulla, ma sono comunque giornate significative per i bambini che ritrovano insegnanti e compagni». Bello sarebbe, osserva Pendenza, tornare in aula anche con i più grandi. Perché loro cominciano a soffrire sul serio: «Il disagio da parte dei ragazzi delle superiori è ormai evidentissimo. Anche se siamo una delle province più virtuose, noi vediamo nei nostri studenti un disagio sempre più grave e ormai preoccupante. Ci sono una serie di sintomi chiari, dall’apatia alla demotivazione, alla difficoltà a mettersi in gioco. Dobbiamo trovare il modo di far tornare in presenza anche solo al 50% il prima possibile i nostri ragazzi».
Questo è il tema. Perché la Dad non è scuola. «No, anche se il nostro sondaggio dice che le famiglie apprezzano il lavoro dei docenti, ma è proprio il metodo, lo strumento, ad essere meno efficace, soprattutto nei bambini della primaria -evidenzia il presidente della consulta dei genitori, Maurizio Freschi -La Dad non è né efficace né semplice da gestire, né per l’alunno, né per le famiglie e per i docenti. Siamo davvero contenti, ma comprendiamo l’esigenza dei docenti di portare avanti più in fretta possibile la campagna vaccinale». E questo è il nodo dolente. A ribadirlo sono i sindacati: «Noi siamo sempre stati a favore della scuola aperta, dopo un anno di Dad si vede sia il disagio sociale che il divario digitale che si è creato tra i ragazzi -sbotta Pietro Di Fiore, della Uil scuola -ma quello che contestiamo è la mancanza di impegno nel garantire i vaccini al corpo insegnante. Alcuni di loro frequentano 3-4 classi, altri anche di più. E la salute dei lavoratori dovrebbe essere l’aspetto più importante. Eppure con le vaccinazioni siamo indietro: questa settimana sono cominciate le vaccinazioni AstraZeneca sui più giovani, ma coloro che hanno più di 55 anni e soffrono di qualche patologia, non hanno idea di quando potranno essere vaccinati. Aprire le scuole significa agire sulla salute dei lavoratori e sui trasporti, non limitarsi ad aprirle ed essere soddisfatti perché lo si fa».

 

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