25 aprile 2021 – Corriere del Trentino

Scappellotto al collega per scherzo, licenziato. Il giudice: «Illegittimo»

TRENTO Uno scappellotto ben assestato per scherzo. Poi guardi e attendi la reazione. L’altro fa un balzo e si gira di scatto per capire cosa l’ha colpito. La scenetta si ripete quando passa un altro amico e i compagni ridono. Chissà quante volte è accaduto di assistere a scene simili tra ragazzini, un gesto senza dubbio poco nobile, molto diffuso alle scuole medie. Un saluto scherzoso agli occhi di chi lo compie, forse un po’ meno per chi lo riceve. Ma lo scappellotto dato sul casco a un collega è costato il posto di lavoro a un operaio trentino.
Un gesto un po’ infantile, soprattutto se si considera che il protagonista non ha vent’anni, ma «fatto per scherzo», si è difeso l’uomo che, però, è stato messo alla porta dopo ben 19 anni di lavoro. Licenziato per motivi disciplinari. Quel gesto agli occhi dell’azienda è stato un «atto ingiustificato e violento», una «grave infrazione alla disciplina del lavoro e ai principi etici perseguiti», si legge nella lettera di licenziamento. Ma il giudice del lavoro Giorgio Flaim la pensa diversamente e definisce l’episodio, seppure poco simpatico, «un atto giuridicamente inesistente in quanto disciplinarmente irrilevante». Un gesto che poteva essere punito semplicemente con una sanzione conservativa secondo il magistrato che ha condiviso la tesi degli avvocati Attilio Carta e Stefano Tomaselli e ha ordinato il reintegro del lavoratore e il versamento di un’indennità risarcitoria pari a circa 12 mensilità, quasi 30mila euro. L’azienda è stata condannata anche a versare i contributi previdenziali e assistenziali dal giorno del licenziamento fino alla data di reintegro e al pagamento delle spese di giudizio.
Ma riavvolgiamo il nastro della storia. L’operaio trentino era un dipendente storico della Sepr Italia spa (società che produce materiale refrattario per la costruzione dei forni), era stato assunto ad agosto del 2002, per anni è andato tutto bene fino a quel freddo 9 dicembre del 2019 quando incrociando un collega di un’altra azienda, la Gea Servizi, lungo il corridoio ha deciso di salutarlo dandogli un colpetto sulla testa. Erano le 13.55 quando i due si sono incrociati, nessuna lite, solo lo scappellotto sul casco del collega, addetto alle pulizie. L’uomo non avrebbe detto nulla, ma mezz’ora prima della fine del turno aveva chiesto di andare a casa perché non si sentiva bene. Il giorno dopo si è presentato al lavoro alle 7 del mattino come ogni giorno, ma a un collega ha raccontato dello strano modo dell’operaio di salutare. Due ore dopo è stato convocato dal direttore dello stabilimento che voleva capire cos’era successo. Lo stesso giorno viene visitato da un medico che gli diagnostica, ma solo sulla base delle sue dichiarazioni, una cervicalgia, prognosi di tre giorni. Il giorno dopo va al pronto soccorso e si sottopone a un esame radiologico che evidenzia un’artrosi e resta a casa dal lavoro per due settimane. La Sepr interviene e apre un procedimento disciplinare. A nulla sono servite le giustificazioni dell’operaio, assistito dal sindacato Uiltec Uil- Chimici.«È stato uno scherzo», ha spiegato. L’azienda non ha voluto sentire ragioni e il 2 gennaio 2020 è arrivata la lettera di licenziamento.
Secondo il giudice, però, non c’è prova del nesso eziologico tra la malattia del collega e il gesto dell’operaio, tanto più perché l’artrosi «non può derivare da un fatto violento». Inoltre lo scappellotto, o colpetto, o manata, come l’hanno definita alcuni colleghi, è stato dato sul casco e questo fa pensare — ragiona il giudice — «che il colpo inferto fu tendenzialmente leggero» visto che l’operaio era consapevole del fatto che la sua mano avrebbe colpito la superficie dura del casco e quindi avrebbe potuto ferirsi».

 

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