Il T – 27 agosto 2023

Scuola, niente tagli ma valutazioni formative

È di questi giorni la riapertura del dibattito sulla questione recupero debiti nella scuola secondaria di secondo grado. Tutto parte da un’incresciosa vicenda, dolorosa per una comunità scolastica: il ricorso di una studentessa del Liceo «da Vinci» e la relativa sentenza del TRGA. È recentissima la notizia di un nuovo ricorso al Liceo Rosmini di Trento. In molti non escono vincenti dal caso del «da Vinci», compresa l’Università e taluni suoi professori. Sempre più spesso, inoltre, capita che le aule del Tribunale si affianchino a quelle scolastiche e così si arriva alla forzatura che una sentenza si pronunci sconfinando nei terreni della didattica.
Sicuramente ci sono delle storture che vanno rettificate. È indubbio, però, che non sia accettabile ammettere agli esami finali studenti con l’insufficienza in cinque materie: giustamente il TAR chiarisce che “l’esercizio di discrezionalità valutativa degli insegnanti può essere sindacato dal giudice amministrativo solo per manifesta illogicità, travisamento dei fatti o difetto d’istruttoria mentre le valutazioni delle capacità di apprendimento e delle competenze acquisite dagli studenti sono affidate in via esclusiva al personale docente”. Ma proviamo a fotografare la realtà sulla valutazione annuale finale. Da un lato abbiamo una scuola che in Trentino permette di mantenere debiti formativi che non si recupereranno mai, nel pieno stile italico: i debiti non si saldano … si ristrutturano; dall’altra appare l’idea che la sola reintroduzione degli esami di riparazione possa risolvere il problema degli studenti quando arrancano di fronte alle difficoltà disciplinari. Come a dire: studia! E se non ce la fai cambia scuola! Il primo a pronunciarsi sulla stampa in questi giorni è stato l’assessore Bisesti che, convinto che il sistema delle carenze formative vada riformato, propone un modello di verifica del recupero debiti “biennale”: un’opportunità alla fine del biennio e un’altra al termine del quarto anno. La proposta non è ritenuta troppo convincente dal Professor Ceschi, Presidente del Consiglio del Sistema educativo provinciale, che la ritiene a rischio di generare ulteriore dispersione proprio perché rimanda l’esame alla fine del primo biennio.
Fa eco all’assessore anche la Sovrintendente Sbardella che tenta di spiegare il perché della scelta trentina che non reintrodusse l’esame di riparazione a settembre, come invece fece il Nazionale nel 2007 con provvedimento dell’allora Ministro Fioroni. Il mancato allineamento alla decisione statale sarebbe stato dettato dal fatto che in Trentino i risultati delle prove PISA non erano stati poi così negativi. Giova ricordare che Fioroni accompagnò la reintroduzione degli esami di riparazione con un massiccio investimento economico, indirizzato alle molteplici iniziative didattiche di recupero dei ritardi formativi: a che la difficoltà non diventi insuccesso.
Sta di fatto che, a tutt’oggi, gli studenti della nostra provincia possono essere ammessi alla classe successiva con carenze, nella speranza che vengano recuperate con lo studio autonomo e con il solo e unico corso di recupero organizzato da tutte le scuole ad inizio settembre. In ogni caso parliamo di iniziative che non prevedono frequenza obbligatoria: spesso i docenti si trovano ad avere calendarizzato interventi che talvolta vanno addirittura
deserti!
Per chi non ce la facesse, viene data un’altra possibilità a dicembre e, in alcune scuole, una terza nel corso del secondo quadrimestre. A ciò si aggiungano gli sportelli disciplinari offerti sia a chi deve recuperare carenze pregresse sia a chi si trova in difficoltà in corso d’anno.
Tutto ciò evita la perdita dell’anno scolastico e garantisce una personalizzazione del percorso, metodologia didattica ritenuta molto efficace. Questa, in sostanza, l’interpretazione della Sovrintendente. Peccato ci si dimentichi come in Trentino siano state tagliate proprio le risorse destinate agli Istituti superiori e indirizzate alle iniziative di recupero formativo. Quindi sono quindici anni che il sistema trentino del recupero delle carenze formative non è il medesimo del resto del territorio nazionale. E il dibattito sulle modalità di recupero delle carenze formative o, più precisamente, delle insufficienze, resta più aperto che mai. Non vogliamo difendere a spada tratta il sistema «italico», anche perché pare inceppato proprio dalla scarsità di risorse a disposizione, ma come operatori della scuola trentini siamo un po’ stanchi di distinguerci sempre e ad ogni costo solo in virtù dell’assunto che «Trentino è meglio». Già grossi danni sono stati fatti nella nostra scuola a causa di questa presunzione, della smania di innovare prima degli altri. Il progetto Trentino trilingue ne è un esempio eclatante: nonostante la patina di riforma smart, ha rischiato di destabilizzare la nostra scuola, perlomeno quella primaria, con tutto il rispetto, sia chiaro, nei confronti dei docenti che ci hanno creduto, che si sono formati, impegnati e che ora si trovano spesso a far fronte a un carico di lavoro insostenibile. Quindici anni di modello trentino ci confermano che sulla scuola non si può tagliare: la scuola non è un costo, è un investimento. L’unico bond (formativo) di sicura efficacia. La scuola per tutti e per ciascuno è una scuola che necessita di investimenti affinché la comunità scolastica tutta possa trovare un substrato organizzativo che consenta la creazione di percorsi effettivamente attenti a ciascuno, che abbia come punto di arrivo una valutazione che non sia solo sommativa, ma che assuma una connotazione formativa. Ci vogliono risorse per ridurre il numero di allievi per classe e destinare una parte dell’orario cattedra a sportelli didattici e ad attività personalizzata: in questo modo sarà possibile l’affiancamento dei ragazzi in corso d’anno per sostenerli quando c’è da superare una «salita disciplinare», prevenendo il debito. Una richiesta: prima di affrettare pasticciate «riforme trentine», è necessario confrontarsi, questa volta in maniera seria e fattiva. Si apra un tavolo con il sindacato, in qualità di rappresentante dei docenti; con il Consiglio del sistema educativo provinciale; con i rappresentanti degli studenti; insomma, con tutti gli attori coinvolti nella delicata questione. Per il bene della nostra scuola.

di Pietro Di Fiore e Giovanna Terragnolo *
* Segretari regionali Uil Scuola Rua – Trentino Alto Adige

 

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