13 maggio 2017 – Trentino
IL SINDACATO È ANCORA «DEL POPOLO»?
l mondo del lavoro è sempre più un universo di galassie professionali. L’introduzione di nuove tecnologie e il dipanarsi della quarta rivoluzione industriale se sicuramente rendono obsoleti alcuni lavori, nello stesso tempo aprono orizzonti alla nascita di nuovi mestieri, con competenze diverse dalle precedenti. Come in una sorta di “big bang”, stiamo assistendo quasi giornalmente a un’espansione dell’universo lavorativo e al sorgere di nuove attività. Le conseguenze di simili fenomeni investono una molteplicità di ambiti.
E aprono nuove sfide nella sfera dei diritti e dei doveri, delle imprese e dei lavoratori, delle tutele e della rappresentanza. Le organizzazioni dei lavoratori hanno una lunga storia alle spalle e anch’esse conoscono un’impasse. Che deriva da alcuni ordini di motivi. Il primo risiede proprio nella progressiva articolazione dei lavori. Se in precedenza la “classe operaia” della fabbrica costituiva l’elemento identitario (e culturale), il riferimento obbligato sotto il profilo contrattuale, oggi i lavoratori sono “fuori dalla classe”. Gli operai rappresentano una minoranza e, pure al loro interno, sono presenti un mix di figure. Altri mestieri e professioni sono cresciuti. Il lavoro si fa diffuso nei luoghi e nelle forme. Di qui, la confederalità e il tradizionale solidarismo fra lavoratori diventa più complicato e complesso da gestire, perché gli interessi si moltiplicano. Così prendono vita organizzazioni specifiche che tutelano particolari gruppi di lavoratori, proliferando e diluendo la rappresentanza. C’è poi un secondo elemento da considerare: la rappresentanza si realizza con almeno un interlocutore (imprenditoriale, politico). Ma se anche questi è in una condizione di debolezza, il ruolo di portatore d’interessi entra reciprocamente in difficoltà. All’interno di questi processi, un’altra dimensione contribuisce a complicare il mestiere della rappresentanza: i cambiamenti nelle culture del lavoro. Il maggiore peso attribuito alla soggettività e alle relazioni sul lavoro, l’identificazione con l’impresa, l’idea di un lavoro inteso come un percorso di crescita professionale, la valorizzazione del merito: sono tutti aspetti divenuti largamente maggioritari negli orientamenti dei lavoratori, ma di cui le organizzazioni sindacali faticano a comprendere e, soprattutto, a tradurre concretamente nelle tutele, nella contrattazione. Infine, ma non per importanza, la forza della rappresentanza si nutre della reputazione e della stima che un’organizzazione gode al di fuori della propria platea di riferimento. Proprio questo è l’oggetto della ricerca di Community Media Research, in collaborazione con Intesa Sanpaolo – Cassa di Risparmio del Veneto: come sono mutate nel tempo le opinioni della popolazione e dei lavoratori verso le organizzazioni sindacali? Innanzitutto, osserviamo una divergenza fra quanto espresso dalla popolazione in generale, da un lato, e i lavoratori, dall’altro, sul ruolo del sindacato. Ben il 39,1% fra i nordestini ritiene che nel Paese le cose andrebbero peggio se i sindacati non ci fossero (era il 34,2% nel 2015). La contrapposizione al Jobs Act, la battaglia sui voucher e l’attivismo referendario hanno pagato in termini di visibilità, soprattutto fra la popolazione del Friuli e del Trentino Alto Adige. Viceversa, chi ne farebbe volentieri a meno è il 34,9% ed era il 23,3% nel 2015 nel Nord Est. Dunque, mediamente si registra una polarizzazione negli orientamenti che divide quasi egualmente i favorevoli e gli oppositori al sindacato. Tuttavia, se in Friuli e in Trentino Alto Adige diminuisce la valutazione negativa, in Veneto tende ad aumentare. Il risultato non è analogo, però, se concentriamo l’attenzione sui lavoratori. Sul finire degli anni ’90 la maggioranza fra i dipendenti (54,5% nel 1998) assegnava un ruolo positivo. Questo parterre si riduce fino,oggi, al 43,3%. Per contro, salgono al 30,5% quanti ritengono che le cose in Italia andrebbero meglio senza i sindacati (13,1% nel 1998), mentre diminuisce l’area dell’indifferenza (26,2%, era il 32,4% nel 1998) verso queste organizzazioni. Questi risultati sono il frutto dell’opinione che i sindacati non siano in grado di tutelare gli interessi dei lavoratori (51,9%, era il 45,1% nel 2015). Da un lato, i sindacati sono percepiti al pari dei partiti (39,8%), dall’altro non si ritiene siano in grado di comprendere le attuali trasformazioni del mondo del lavoro (39,6%).
Simili esiti confermano la necessità di una rivisitazione soculturale della rappresentanza del mondo del lavoro. Il “rinnovamento” contrattuale di Federmeccanica e quello di Cna siglati assieme a Cgil-Cisl-Uil dimostrano come sia possibile innovare a partire da nuove (condi)visioni del lavoro. Testimoniano che un sindacato (dei lavoratori come degli imprenditori) può re-interpretare il proprio ruolo. Perché nell’epoca delle galassie dei lavori, c’è bisogno di qualcuno in grado di offrire un universo comune.
Daniele Marini
Direttore scientifico CMR Community Media Research
Scarica il pdf: SINDACATO ART 130517
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