l’Adige – 10 gennaio 2023
Stipendi bloccati per 120 mila lavoratori
Caro benzina, caro affitti, tassi d’interesse che crescono, caro bollette: l’avvio del 2023 è stato in salita per tutti. Per tanti però, la pendenza del sentiero è eccessiva e lo zaino troppo pesante. Non si va avanti. Perché mentre crescono costi e prezzi, rimangono fermi gli stipendi, erosi dall’inflazione. Ma quanto sono fermi? Tanto e per tanti. Più o meno per 120 mila dipendenti trentini: il 60% dei lavoratori dipendenti. Un panorama desolante. «Servono misure che spingano le aziende ad alzare le retribuzioni in modo strutturale» sbottano i sindacati. La scala mobile non c’è più, ma un sistema di tutela dei salari è comunque previsto: ogni due anni i contratti collettivi dovrebbero venire ridiscussi nella parte economica. È un modo per adeguarli al carovita. Meglio, sarebbe, se si firmassero questi adeguamenti. In realtà in Trentino la maggior parte dei lavoratori dipendenti da tempo aspettano l’aumento: alcune categorie da poco, altre da tempo quasi immemore. Penalizzati, per cominciare, sono quelli del terziario (55 mila lavoratori): in questa categoria rientrano i lavoratori del commercio, con il contratto scaduto dal 2018, quelli del turismo, in attesa dal 2021, degli studi professionali (contratto scaduto nel 2021) e i più malmessi di tutti, la vigilanza privata, che aspetta dall’ormai lontano 2015. Poi ci sono circa 10 mila lavoratori delle coop sociali, che aspettano dal 2019, quelli della sanità privata, il cui contratto è scaduto nel 2018 e i 50 mila dipendenti della pubblica amministrazione, per non dire dei 4 mila impegnati nei lavori socialmente utili (contratto scaduto nel 2021). Un panorama davanti al quale i sindacati parlano di situazione «vergognosa» e di «irresponsabilità delle parti datoriali».
E chiariscono: chi i contratti li ha visti rinnovati non ha recuperato l’inflazione. Quindi il tema tocca tutti: «Il problema di bassi salari non è solo una questione di tassazione – evidenziano Andrea Grosselli (Cgil), Michele Bezzi (Cisl) e Walter Alotti (Uil) (in foto) -. Anche nei Paesi con un cuneo fiscale più alto del nostro come Austria, Germania, Belgio, le buste paga sono più elevate. Per troppo tempo non si sono redistribuiti i profitti sui lavoratori».
Cgil Cisl Uil sollecitano dunque le associazioni datoriali a rinnovare con tempestività gli accordi. «A livello locale la strada da percorrere invece è quella di estendere la contrattazione territoriale di settore per adeguare gli stipendi al reale costo della vita sul nostro territorio. I contratti aziendali si siglano con difficoltà nelle aziende più grandi, nelle piccole non c’è contrattazione decentrata».
E la Provincia può fare qualcosa? Secondo i sindacati sì. Una politica della casa, ma non solo. Però, accusano Cgil Cisl e Uil, «si è rifiutata di adeguare all’inflazione l’assegno unico provinciale indicizzando l’Icef. Di fatto al di là di qualche bonus per la natalità, i cui effetti sono tutti da dimostrare, è rimasta sostanzialmente immobile mentre le famiglie erano sempre in maggiore difficoltà».
Scarica il pdf: ADIGE crisi ART 100123
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